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primo dei quali metterò il principio della lega, e la guerra di Cipro; nel secondo la sanzione dell'alleanza, e la grande battaglia di Lepanto; nel terzo le conseguenze della medesima, e lo scioglimento della lega. Il mio dire è tutto sopra i preziosi manoscritti privati e pubblici di Roma, massime sopra i codici dell' Archivio Colonnese e Vaticano: nell'uno e nell' altro dei quali Marcantonio ha lasciato arcane e importantissime memorie di questi fatti. Ed io tanto più volontieri ne seguo le traccie, in quanto che mi è avviso che, dopo quello che è stato già scritto dai Veneziani e dagli Spagnuoli, dopo le accuse e ricriminazioni loro, potrà la storia decidere in favor dei primi; e avvantaggiarsi di ciò che risulta dai documenti romani, sin ora sconosciuti.

[1570.]

Quando i generosi della cristianità fremevano ripensando all' assedio di Malta ed ai pericoli corsi poc' anzi dall'Italia, allora per opera di san Carlo Borromeo veniva dagli elettori messo sulla cattedra del Vaticano quel Pio V che, insieme ad una vita di santi ed immaculati costumi, portava in cima de' suoi pensieri il gran disegno di francare una volta l'Italia e la Cristianità dagl' insulti dei barbari, e coll' armi riunite dei principi cristiani conquiderli per sempre. E l'occasione che egli cercava gli venne appunto dalla perfidia loro: perchè Selim, novello imperadore dei Turchi, assunto all' imperio l'anno 1567, dopo aver confermata con solenne giuramento la pace che Soliman suo padre e tutta casa sua da più tempo avevano con la repubblica di Venezia, cominciò a macchinare di torle ad ogni modo il regno di Cipro: come luogo opportuno a mantenergli il dominio sui paesi usurpati dai suoi maggiori, ed a fargli strada per novelle conquiste.

E celando il mal talento sotto simulate dimostrazioni di amicizia, tanto si contenne, sinchè levatisi in arme i Mori di Granata, impigliato il re Cattolico con quella ed altre guerre, e bruciato gran parte d'arsenale in Venezia, gli parve tempo di spiegare il suo disegno. Chiamato per tanto Marcantonio Barbaro ambasciadore dei Vene-ziani, fece con lui gran richiamo delle scorrerie dei Cavalieri di Malta contro ai sudditi ottomani, e del ricetto e della protezione che i Maltesi trovavano nell'Isola di Cipro e il richiese che per sicurezza sua gli si dovesse cedere quel regno; altrimenti lo torrebbe per forza.

E di ciò parendogli essersi anche troppo scoperto, e che non dovesse indugiare più oltre a spingere innanzi con tutto il calore la sua pretensione, fece ai tredici di gennaio del mille cinquecento settanta sequestrare le navi dei Veneziani che alla fede dei trattati nel suo imperio trafficavano, chiudere i passi ai mercadanti, sostenere l'ambasciadore, e sciogliere il freno ai confinanti di Dalmazia perchè molestassero in terra, ed ai corsari levantini perchè in mare travagliassero le cose della Repubblica. La quale a un tempo e per tanti modi offesa grandemente si commosse: e senza piegare l'animo invitto nè alle lusinghe fraudolenti nè alle minaccie terribili di così grande imperadore, anzichè cedere in balía di Turchi un regno cristiano, risposero: Esser turpissima cosa per Selim, senza alcuna nuova cagione nè vera nè verisimile, rompere quella pace che essi per tanti anni avevano gelosamente custodita, ed egli medesimo poc'anzi con giuramento confermata; possedere la Repubblica per giusto titolo il regno di Cipro; averla Selim e gli altri imperadori sempre riconosciuta padrona di quello: lo difenderebbe come cosa propria da chiunque fosse ardito assalirlo: e Iddio, giustissimo giudice dimostrerebbe cogli effetti a fa-vor loro quanto gli ardimenti dei rapaci e degli spergiuri

siangli malgraditi. Così, rotte le pratiche, con grand' animo presero i Veneziani a far le provvisioni della guerra, talchè di presente la città fu piena di armi e in gran movimento al porto e all'arsenale, scrivere fanti e cavalli, trovar denaro e provvigioni, varar navi e galere, armarle, fornirle, spingerle a Cipro, rimontar l'artiglierie, munir le fortezze, dare a Girolamo Zane il comando dell'armata, a Sforza Pallavicino dell' esercito, chieder soccorso ai principi, e prima d'ogni altro al Papa, furono opere di tanta prestezza che quasi a un tempo il Turco assaltava Cipro e il Leone di San Marco spiegava l' artiglio per difenderlo e col ruggito di giusta indignazione chiamava all' armi la Cristianità.

II. Quando il Papa ebbe inteso dall'ambasciadore di Venezia quel che i Turchi ardivano, e quel che il Senato da lui richiedeva, si dolse prima grandemente del travaglio che pativano i diletti suoi figli, e poi levando al cielo le mani, si rallegrò che gli avesse Iddio ottimo massimo messo innanzi l'occasione tanto da lui desiderata di stringere per così giusta causa ed urgente necessità i principi cristiani ad una lega vigorosa, che sola poteva salvare l'Italia e l'Europa dalla crudeltà e insaziabile cupidigia dei Turchi, e ricuperare le altre provincie ove tante migliaja di fedeli, sotto il giogo di spietata tirannide, servile e misera vita menavano: affinchè gli uni e gli altri liberati dalle mani dei nemici potessero senza timore servire a Lui.' E quantunque si trovasse egli allora smunto di danaro, pure volendo prima d' ogni altro dare l'esempio, come colui che per vera virtù e per santo zelo di religione procedeva, applicò l'animo non solo a

1 PII PAPÆ V, Præceptum quod Christiani apud Turcas servi reperti libere cum suis bonis abire permittan'ur. Bibl. CASANAT., Collez. di Bolle, Ed tti ec., t. I, anno 1570, no 4. Parla il Pontefice con queste istesse parole qui dette nel testo. Vedi appresso nota no 80.

trovar grosse somme, e spedir nunzi e brevi pressantissimi alla corte di Spagna e agli altri principi, ma anche a soccorre i Veneziani con un' armata navale: affinchè la lega avesse principio, questi si confortassero, quelli si commovessero, e tutti il seguissero. E perchè la cosa riuscisse a buon termine prese semplice e sicuro partito; avere un uomo capace, dargli ogni potere, e lasciarlo fare.

[11 giugno 1570.]

E senza riguardare alle passate condizioni politiche della guerra di Campagna, nè alle ostilità di Marcantonio Colonna in tempo di Paolo IV, tanta fiducia pose nell' altissimo valore e nella virtù di quel campione incomparabile del sangue romano, già lungamente provato nelle guerre di terra e di mare, che avu-. tolo seco a stretto e segreto colloquio non dubitò, sebbene molti principi d'Italia e qualche grande di Spagna ambissero quell' onore, di prescegliere lui medesimo per suo capitan generale, e fornirlo di tutti i poteri con piena balía di governar quella impresa, siccome si fa manifesto per la lettera in forma di breve a lui diritta in questa sentenza.'

2 ARCHIVIO COLONNA, Da una pergamena e parecchie copie. « Dilecto filio nobili viro Marco Antonio Columnæ, domicello romano, classis nostræ et apostolice Sedis adversus Turcas præfecto et capitaneo generali. Pius Papa quintus. Dilecte Filii, nobilis vir, salutem et apostolicam beneditionem. Cum his difficillimis periculosisque temporibus Præfectus Classis nostræ et hujus sanctæ Sedis contra Turcas ingens bellum ad Venetorum omniumque Christianorum perniciem molientes esset deligendus, ut coniunctis viribus illorum futorem et conatus facilius repellere possimus, ad nobilitatem tuam

« Al diletto figliuolo, nobil uomo, Marcantonio Colonna, barone romano, prefetto e capitan generale dell' armata nostra e della Sede apostolica contro Turchi. Pio Papa V. Diletto figliuolo, nobil uomo, salute ed apostolica benedizione. - Dovendosi in questi difficili e pericolosi tempi trascegliere un prefetto all' armata nostra di mare, per opporla ai Turchi, i quali apertamente combattono dura ed aspra guerra contro i Veneziani, e con

potissimum inter alios animum nostrum convertimus, sperantes ob ejus nobilissimæ familiæ splendorem in tua virtute, prudentia, fide, reique in primis militaris usu ac disciplina, nos conquiescere posse. Itaque in Dei omnino polentis nomine, et ad Sanctæ Ecclesiæ, christianæque reipublicæ defensionem et conservationem, te Præfectum et Capitaneum generalem totius ejusdem classis nostræ et dicta Sedis adversus Turcas cum omnibus et singulis facultatibus, iurisdictionibus præminentiis, prærogativis, honoribus et oneribus solitis et consuetis: necnon cum stipendio menstruo pro te scutorum sexcentorum (paullis decem pro quolibet scuto computalis) et provisione ordinaria pro duodecim electis militibus Lancie spezzate vulgo nuncupatis, et vigintiquinque s'ipatoribus corporis tui Alabarderiis vocatis, auctoritate apostolica tenore præsentium ad nostrum et ipsius apostolica Sedis beneplacitum, eligimus, creamus, constituimus et deputamus, mandan'es quibusvis triremium aliorumque navigiorum nostrorum ductoribus, capitaneis, officialibus, militibus et personis sub pœnis arbitrio nostro, atque etiam tuo imponendis, ut te debito cum honore et obsequio suscipientes tibi prompte reipsa praesto sint, mandalisque tuis sine ulla mora atque exceptione pareant, et obediant, omniaque imperata tua faciant et exequantur, non secus ac si nos ipsi ea juberemus. Tu ergo, Fili, ita te geras, munusque ipsum hoc tibi per nos libenter demandatum, sic diligenter ac strenue obire studebis ut nostrae omniumque de te expectationi cumulate respondeas. In quo Deo in primis, cujus causa nunc praecipue agitur, deinde desiderio nostro maxime satisfacies, unde felicis perennisque vitae præmium a Domino, a nobis autem bene navalae operæ laudem ac commendationem procul dubio consequeris.

» Datum Romæ apud Sanctum Petrum sub anulo Piscatoris, die XI junii MDLXX, Pontificatus nostri anno V.

» CESAR GLORIERIUS. »

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