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Cervia, Faenza, e Rimini; i Fiorentini per assicurarsi il dominio di Pisa; e il duca di Ferrara per arrotondare i suoi confini d'Oltrepò. La congrega di tanti competitori, con intendimenti così diversi, non poteva durare più d'un anno; e i Veneziani facevano assegnamento sulla rivalità dei nemici per sostenersi: non così però che nel primo impeto della guerra, concorrendo da ogni parte tanta gente contro di loro soli, non perdessero a un tratto quasi tutto lo stato di terraferma.

Io non seguirò l'esercito di Francia alla battaglia della Ghiaradadda, nè le schiere imperiali dentro Padova, nè le bande roveresche intorno a Ravenna; perchè non devo torcere lo sguardo dai navigli e dalle acque dell'Adriatico e del Tirreno, dove in quest'anno occorrono due fatti assai diversi presso al Tevere di Roma, e sul Po di Ferrara. Comincio dal primo.

[Agosto 1509.]

I Barbareschi tra le nostre discordie e le continue guerre intestine crescevano d'arte e di ardire; e non trovando contrasto, venivano da padroni sulle riviere d'Italia. L'anno precedente avevano saccheggiato la Liguria, menando preda di sostanze e di schiavi da ogni parte, specialmente dal Diano, grossa terra di quella riviera, dove gli abitanti collo stormo dei paesi vicini erano a pena riusciti a sollecitare la ritirata dei nemici, senza poterne ricuperare nè roba nè persona 1o. In que

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19 PETRUS BIZARUS, Historia genuensis, in-fol. Anversa, 1579, p. 425: « Anno 1508 aliqui turcici myoparones sinum Lugusticum mirifice inquietarunt, et descensione in continentem facta, justa Dianum oppidum, duobus mille pass. a mari distans, haud pænitendam prædam abegerant.... Sed indigenarum viribus, male mulctatis hostibus, ut reprimerentur fartum fuit. »

RAYNALDUS, an. 1508, n. 27.

st'anno i medesimi pirati, come i nomadi dell' Africa che mutano cogli armenti le pasture dopo aver consumato le erbe dei prati, finchè non siano ricresciute, facevano accolta di rapina sulle maremme di Toscana e di Roma, avventurandosi sino alla foce del Tevere presso Ostia. Erano colà alla guardia due galèe del Biassa, tutte fiacche e dimesse per aver mandato le migliori fanterie al campo di Ravenna, e però esposte a perdita quasi necessaria. Non mi richiedete il numero dei nemici, nè l'arte del mostrarsi in pochi, nè gli agguati dei molti, nè il combattimento dei sorpresi: i contemporanei non toccano i particolari di questo fatto; ed io vorrei ignorarlo, e presso che non dissi cancellare ogni memoria delle due galere. Vi basti questo: una fuggita, e l'altra presa 20.

Cosi i Romani impararono a calcare le vie di Algeri rasati, scalzi, e incatenati: così i pirati, che avevano già raccolto nell' Africa le bandiere delle altre nazioni, e dei monarchi maggiori della cristianità, poterono ridurre a compimento l'araldica collezione degli stemmi, aggiugnendo a suo luogo anche la bandiera papale. Dove mi bisogna notare che, sopra cencinquanta e più le

20 SENAREGA, De rebus genuens. S. R. I., XXIV, 600: « Anno 1509 Mauri hac æstate admixti Turcis littus Romanum et mare Tuscum infestarunt: duæque biremes maurorum unam Pontificis triremem cœperunt, altera in fugam versa. »

BIZARUS cit., 426: « Non procul ab Ostia iidem Piratæ alteram triremem pontificiam facili negotio intercepere.... alteram vero in fugam conjecerunt. »

GIUSTINIANI cit., 265, F.: « Mori e Turchi rovinarono in quest'anno 1509 la navigazione et in spiaggia romana pigliarono una delle due galere dalla guardia del Papa, l'altra se ne fuggitte. »

RAYNALDUS, Anno 1508, n. 27 (per errore di anticipazione come avverte il Manzi); « Id in anni sequentis æstatem 1509 referendum esse: »

gni nemici in questi sessant' anni della guerra piratica presi dai nostri marini e dalla loro brigata, ne abbiamo perduti solamente sei. La galèa del Biassa nel mare di Ostia, la capitana del Vettori l'anno diciotto nel canal di Piombino, la sensile del Divizi il trentotto alla Prèvesa, e la generalizia colle due conserve dell' Orsino il sessanta alle Gerbe. Della prima e dell' ultime due, mai più novella: in somma tre perdute per sempre, e tre ricuperate. Quella del Vettori dopo un anno rimenata a Civitavecchia da Andrea Doria, quella del Divizi ripresa alla Capraja da Gentil Virginio dopo tre anni, e la generalizia dell' Orsini riconquistata dopo undici anni per mano di Ruggero degli Oddi alla battaglia di Lepanto.

[21 dicembre 1509.]

VI. Intanto i Veneziani, da ogni parte compressi, sdrucivano con tutto l'impeto della indignazione contro il duca di Ferrara: nemico più vicino, debole, ed odioso 21. Avendogli già preso ed arso Comacchio, divisavano percuoterlo della stessa o peggior rovina dentro Ferrara, col concorso dell' esercito dalla parte di terra, dell' armata di galere, di navi e di barche pel Po. E quantunque alcuni senatori volessero dissuadere la intramessa dei navigli nelle acque interne; e tra gli altri si dichiarasse contrario il capitano Angelo Trevisani, dicendo che per le molte fortificazioni piantate dal Duca sulle ripe del fiume, e per la magrezza delle acque non si poteva rimontarlo tanto addentro senza grave pericolo; nondimeno prevalendo negli altri l'opinione della propria possanza navale, e non avendo altrove come impiegarla, il Senato ordinò allo stesso Trevisano di eseguire gli

21 ANDREAS MOCENIGUS, Bellum cameracense, in-12. Venezia, 1525, p. 44: « Dux Ferrariæ rhodiginum Pollesinem cæperat, et amplius lerra marique infestus erat. »

GUGLIELMOTTI. Guerra de' Pirati.

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ordini, e di assalire gli stati del Duca pel fiume con diciotto galere, sei navette, ed altri legni minori.

Il Trevisano venne nel Po per la bocca delle Fornaci; ed abbruciata Corbola, predando il paese intorno, sali il fiume infino al Lagoscuro; e mandò oltre un grosso corpo di cavalleggieri, che per terra lo accompagnavano, a scorrere le campagne sulla riva sinistra dall' Occhiobello al Ficheruolo. Esso coll' armata, non potendo passare avanti, si fermò in mezzo al fiume dietro l'isoletta di qua della Polesella; luogo distante undici miglia da Ferrara, e molto acconcio a travagliarla; dove voleva aspettare l'esercito di terra che prosperamente procedeva da quella parte, ricuperata Montagnana, e quasi tutto il Polesine di Rovigo. Intanto allestiva il bisognevole ai vegnenti: gittava un ponte di barche per assicurare il passo ai fanti e ai cavalli, e con grandissima prestezza muniva le teste del ponte medesimo con due ridotti molto forti sulle opposte ripe del Po.

Erasi il Duca adoperato inutilmente ad impedire. la costruzione e l'afforzamento del ponte: e di ciò esso, e i capitani suoi, e i Romani e i Francesi venutigli di soccorso, stavano in gran pensiero; parendo a ciascuno che la città di Ferrara non fosse in quel modo senza pericolo". E chi un partito, chi un altro proponendo, finalmente gli stessi Ferraresi per la perizia loro dei luoghi e del fiume facilmente ponevano il modo di sgominare l'armata, il ponte, e i ridotti dei nemici: cose da principio sembrate difficilissime.

Pertanto il ventuno di dicembre il duca Alfonso, e con lui il fratello Ippolito cardinale da Este, i Trotti, i

22 MOCENIGUS cit., 46: « Interea Ferrarienses, aucti gallicis pontificiisque auxiliaribus,... castellum summa ope oppugnare aggressi sunt. »

Mori, i Guidi, i Bagni, gli Ariosti, i Tassoni, la nobiltà e il popolo ferrarese, e insieme i capitani di Roma e di Francia, assaltarono a furia il ridotto bastionato di verso Ferrara. Non che pensassero di poterlo espugnare al primo attacco, ma solamente volevano costringere i Veneziani a chiudervisi dentro, ed a lasciare sgombro l'argine circostante del fiume, per coprire liberamente gli agguati dietro certe risvolte che non potevano essere dal ridotto nè battute, nè viste. Poi nella notte, forato l'argine a fior d'acqua in più luoghi, secondo il divisamento del Cardinale (molto ingegnoso e intendente di queste faccende), distesivi buoni panconi d'olmo e di rovere, e fatte a dovere le piatteforme e le troniere, vil condussero celatamente le migliori artiglierie della munizione ducale, che n' avea di bellissime, gittate da' più eccellenti fonditori di quel tempo, massime dagli Alberghetti 2; e stettervi quieti apparecchiandosi alla fazione della dimane.

[22 dicembre 1509.]

VII. Il giorno del ventidue, per tempissimo, stavano le genti e le batterie dagli alleati, sopra e sotto all'armata nemica, coperti dagli argini, coi pezzi studiosamente livellati, e le munizioni pronte: nè i Veneziani sospettavano punto di quanto nella notte si era apparecchiato contro di loro, quando a un cenno del Duca, smascherate le trombe delle cannoniere, si aprì il fuoco. Piombỏ l'attacco tanto improvviso, e con tal vigore crebbe via via, che (quantunque i Veneziani subitamente riscossi non cessassero di rispondere) in men d' un'ora l'armata nemica fu rotta. Alcuni legni in fiamme, altri

33 Cap. ANGELO ANGELUCCI, Documenti inediti per servire alla storia delle armi da fuoco italiane, in-8. Torino, 1869, p. 278.

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