Mille moti; ogni moto in le Divine
Fa il fuo effetto; anzi ferve a qualche altro ufo. Cosi l' Uom, che qui il fol principal fembra, Forfe è il fecondo, d' una sfera ignota Muove una ruota, o tende a qualche fine: Che una parte vediamo, e non il tutto.
Quando a che l' Uom fuo corfo audace arresta,
O il caccia al pian, faprà l' altier Corfiero; Quando il Bue ftolto, a che le glebe or frange, Ora è vittima, or Dio d' Egitto, allora
Il folle umano orgoglio il fine e l' ufo Saprà di fue paffioni, atti, e natura;
Perchè attivo, paffivo, ritenuto,
Spinto, adeffo è uno fchiavo, adeffo un Dio.
Non dir dunque, errò il Ciel; l' Uomo è imperfetto:
Ma di, è perfetto quanto dee; s' accorda
Il fuo faper con il fuo pofto e ftato.
E' fuo tempo un refpir, fuo spazio un punto.
Se in qualche sfera perfetto è, che importa
I prima, il poi, il qua, il là? Felice
Chi è oggi, l'è non men compiutamente,
Che quei che cominciar mille anni avanti.
Del libro del deftino il fol prescritto
Foglio, il prefente ftato ifcopre Iddio
Alle creature; all' Uomo più che al Bruto;
All' Angel più che all' Uom: fe no, chi d' effere
Qui foffriria? Tua gola a morte danna
Oggi l'agnel; s' il tuo fenno egli avesse, Potria faltar, fcherzar? Sino al fin lieto
Or pafce i fiori, e la man bacia ch' alzafi
A fcannarlo. Oh futur per grazia afcofo, Onde Ognun faccia quel che il Ciel prefcriffegli; Il Ciel che mira, come Dio del tutto, Con occhio egual, cader l' augel, l' Eroe
Perir; foffopra ir atomi fistemi;
Scoppiar d'acqua un fonaglio oppure un mondo. Spera con umiltà, tremando il volo Spiega, la morte (gran maeftro) attendi, E adora Dio: qual fia tuo ben non fvelati, Ma la fpeme ti dà per ben prefente. Pullula eterna fpeme all' Uomo in petto; Felice ei mai non è, fempre è per efferlo E l' alma, in fe medefma inquieta e stretta, Nella vita avvenir fi pofa e spazia.
Mira il povero Indian; fuo rozzo fpirito Sente ne venti Iddio, vedel ne' nuvoli; Non gli infegnaro altiere fcienze a perderfi Nella sfera del Sol, nella via lattea. Ma fperar fagli la Natura femplice
Un ciel più baffo dietro un monte altiffimo, Fra denfi bofchi più ficuro un mondo, Frai vafti flutti più felice un Ifola, Ove lor Patria al fine i fchiavi trovino, Senza avaro Chriftian, fenza Carnefice. Suo natural defio s' appaga d'effere
Ali d' Angel non brama, o ardor Serafico Ma che il fedel fuo cane entro al medefmo Cielo ammeffo gli fia compagno credefi.
Va tu, che fei più dotto, e del tuo fenno Pefa alla lance il tuo penfier contro alla Providenza. Imperfetto, quel che parti Tal, chiama. Di, qua troppo dà, e qui poco. Struggi ogni Creatura a tuo capriccio; Che fe mifero è l' Uom, se folo il Cucco Del Ciel non è, fe fol non è perfetto Quaggiù e laffufo eterno, ingiufto é Iddio Grida, diman fcettro e bilanci strappagli, Sindica fua Giuftizia, e fii fuo Dio,
Con i fofifmi fuoi l'orgoglio ingannaci, Di fua sfera tutto efce, e in Ciel fi slancia. L'orgoglio fempre à verfo il Ciel la mira: Vuole effer Angel l' Uomo, l' Angel Dio. Ma, fe effer Dio volendo, l' Angel cadde, Ribelle è l'uom che afpira ad effer Angelo; E chi turbar dell' ordine le leggi Tenta, contro la caufa eterna pecca.
Per chi fatta è la Terra, e gli Aftri brillano? "Per me dice l'orgoglio: per me l'alme Sue forze amica ufa Natura: ogni erba
Nutre e sbocciar fa i fior; rinnova ogni anno Vite e Rofa per me nettari e balsami :
Mille tefor per me le mine portano ; "Mille fonti per me falute sgorgano;
Me per portare ondeggia il mar; fi leva I fol per farmi lume; e pavimento
E'mio la Terra, e baldacchino il Cielo. Ma quando piomba giù dal fol cocente Livida morte, o quando abiffa e annega Genti e città un diluvio, un terremoto Da fin fi bel Natura non fi scosta?
No, Leggi univerfali fegue Iddio;
Raro fen parte; e, fe in tanti anni accade ,, Qualche mutazion, qual mai creata
Cofa è perfetta? E perchè l'Uom farallo? Se il grand fine è l'uman bene e Natura Lo Sbaglia, l'Uom può egli far di meno? Tanto un tal fin vuol di fereno e pioggia Serie coftante che d'umane voglie; Tanto un bel tempo ed un' Aprile eterno Quanto Vomin fempre moderati e faggi. Se al fin di Dio non fon tremoti o pesti Contrari, perchè un Borgia un Catilina
Il fian? Chi il fa? Se non chi forma i folgori, Chi irrita il mare e le tempefte fufcita,
Chi verfa l'ambizione in feno a Cefare, E fofpinge Aleffandro a punir gli Uomini? L'orgoglio dettaci i penfier, penfiamo In Moral come in Fifica.. A che in quella Biasmare il Cielo, e il difcolpare in quefta? Per ben d'ambe penfar vopo è fommetterfi.
Forfe meglio per noi parria, che tutto
Armonia foffe quivi, e là virtude;
Che mai nè l' Aer nè il mar fentifle i venti;
Che vuol queft' Uomo? Or s'alza, e poco meno
D'un Angel, vuole effer da più; lo sguardo
Or china, e meftro par, perché di Toro
Non à la forza, o d'Orfo il pel. Pretende Fatte per lui le Creature tutte;
Ma, s'ogni dote aveffen, come ufarne?
Convenevoli ad effe organi e doni Die liberal, non prodiga, Natura; Col corfo qui, là col vigor fupplendo A ciò, che par bifogno, e mifurando Tutto allo ftato, si che niente puoffi
Aggiungere o levar. Qual è, felice
E' ogni Bruto, ogni Infetto; e l'Uom, l'Uom folo Provato avaro il Cielo avrà? Chi detto
Vien folo ragionevole, fe tutto
Non à di nulla non farà contento?
Il ben dell' Uomo, (ed oh! Perché l'orgoglio No 'l vede?) non è oprar, penfare, avere
Doti di corpo o d' Alma oltre uman uso,
Ma quali efige fua natura è stato.
Perchè l' Uom non à un occhio microfcopico?
Chiara n'è la ragion, non è una mofca.
Che potria far d'una miglior veduta?
Difcernere un Cirone, e il Ciel non fcorgere. Che del datto? Sentir, tremare a tutto, Spafmare, agonizar per ogni poro, O, trafitto d'acuti effluvii il cerebro, Morir d'un cedro dei colpi aromatici. Se Natura, tuonando al fino orecchio Suo, delle sfere con il fuon ftordiffelo, Quanto vorria che il Ciel lafciato aveffegli Dei rivi il mormorio, delle aure il Sibilo! Chi non vede che buone e faggio è Iddio
In quel che ei niega al par e in quel che ei donna?
Non men di creazion, che delle doti
Di fenfo e mente l'ordin ampio ftendesi
Miral montar da mille e mille verdi Bopol dei prati al regio umano genere.
Qual varietà di vifte infra i due limiti,
Di Talpa il denfo vel, di Lince il raggio!
Qual d'odorato infrà l'impetuofa
Leonza, e il Cane che nari ha si fagaci D'udito fra gli abiator delle onde, E quei che a Maggio cantan fralle frondi! Del ragno il tatto quanto è fino! In ogni Fil fente, e in tutta la fua tela vive. Qual giusto e fottil fenfo à l' Ape induftre Per trar fucco vital d'erbe nocive? Il fozzo Porco, e il quafi ragionevole, Elefante quanto han diverfo iftinto! Tra quefto e la ragion che debil muro ! Divifi fempre fon, fempre vicini.
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