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sbarcarono trenta mila uomini a Salerno e posero il campo sotto la piazza, ch'era forte, popolosa e apparecchiata alla difesa. Guaiferio il principe dei salernitani dimostrossi qual' era valente e prode nella difesa della sua patria, mentre i saracini dividevano il tempo e le schiere, parte all'assedio regolare della città, parte a scorrere e devastare il territorio. Le opere crudeli e scellerate delle moslemiche milizie io lascio nella oblivione per non rinnovare il fiero cordoglio, nè funestare i tuoi pensieri, o gentile anima e virtuosa, che raccogli il senso di queste mie scritture. Pur nondimeno se vuoi da un solo cenno e fugace intendere gran parte delle nequizie, odi le opere del duca mussulmano, e giudica quelle dei trentamila. Colui rotto al vizio dei diletti sfrenati, cui sempre mai va sozia la crudeltà dell'animo, aveva fatto albergo nella chiesa suburbana di santo Fortunato, ed il suo giaciglio sopra la mensa dell'altare: colà le fanciulle infelici rapite a viva forza dal contado venivano immolate alle luride voglie dello scempio animale. Abdallà prolungava nel sacrilego eccesso le notti e le crudeltà; sinchè le istesse pareti, quasi direi, frementi d'indignazione si commossero alla vendetta dell'orrendo stupro; e nell'atto ch'egli attentava al pudore d'innocente verginella, per giudizio d'Iddio lasciarono sopra al suo capo, già ripieno d'altri pensieri, piombare una trave che lo conquise in un momento dall'altare all' abisso, lasciando intatta la pia che supplicava in suo cuore per la intemerata preservazione dalla colpa nella mente e nelle membra. Insieme con Abdallà restarono infranti alcuni suoi famigliari, e fu spettacolo di punizione formidabile agli stessi pagani, che pose alquanto di freno all'iniquo contagio 9o. Abimelech fu poco dopo salutato dall'esercito per successore ad Abdallà nel supremo generalato, e questi come uomo più continente e sagace sarebbe riuscito ad espugnar Salerno, se quei cittadini non si fossero difesi con tutto lo sforzo che proviene dalla fiducia dei soccorsi: imperciocchè le vicine città mandavano a confortarli e introducevano continui sovvenimenti di milizie, e di vit

90. ANONYMUS SALERNITANUS. Chr. Cap. cxIII. - MURAT. S. R. I. T. II. Parte II. pag. 258.

ERCHEMPERTUS. Hist. Longobard. ap. PERTZ. Mon. Germ. Script. T. III. p. 232.
MURATORI. Annali 872.

tovaglie, temendo ciascuno i danni suoi nel danno del vicino e che le fiamme di quell'incendio più oltre insino a loro non si dilatassero.

873.

Per le quali ragioni e soccorsi tanto crebbe l'animo dei salernitani che mantennero la guerra sino all'anno susseguente 873, e dettero comodità a Ludovico imperadore, che risiedeva a Pavìa, di mettere insieme un grosso esercito di lombardi, e spoletini con i quali alla primavera di quest'anno entrò nei confini del regno, e si ridusse a Capua. Tanto bastò perchè i saracini già stracchi e di peggior fortuna tementi si abbottinassero contro l'istesso Abimelech loro generale, e lo sforzassero a sciogliere l'assedio, così chè tutti insieme rimbarcati se ne andarono per mezzo il mare apportando al tempo stesso infinita letizia ai salernitani, ed altrettanto spavento alle riviere estreme d'Italia. Era allora la Calabria in pessima condizione per la discordia dei popoli e la mala guida del governo greco : gli africani come nugolone d'insetti ronzanti scacciati da un luogo si posarono in quest'altro, e vi ritrovarono stanza più ferma e più malaugurata, donde poi rigurgitarono con manco strepito a peggior ruina dalle regioni remote alle più propinque di Roma.

875.

Era quello un tempo di tribolazione, o piuttosto una catena che avvinghiava principi e popoli a seguenza di continuate miserie. Ludovico imperadore tornato in Lombardia morissi senza prole (12 Agosto 875); ne seguitarono ferocissime guerre tra gli stessi cristiani. I discendenti di Carlo magno, Carlo il calvo re di Francia e il suo fratello Ludovico re di Germania concorsero a guerra incontro alla corona imperiale, tirarono appresso il codazzo dei loro seguaci, insanguinarono le mani, e quantunque Carlo prevalesse al fratello, nondimeno soccombette alla morte, e lasciò ai figli l'eredità dell'impero e della guerra contro lo zio che lungamente e con varia fortuna sostennero.

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Queste digressioni sono pur necessarie a lumeggiare gli avvenimenti successivi che devo descrivere imperciocchè quinci s'intende il profitto grande che ne venne ai saracini i quali dalla Calabria passarono alla Puglia, e tale terrore gettarono nel cuore dei napolitani, che questi stessi e con loro le città di Amalfi, Gaeta, Salerno e Capua si trovarono quasi costrette a comperare la pace dai pagani, ed acconciarsi per manco male in amicizia con quelli 9. Da siffatto principio di lega pullularono come da infetta radice tristissimi frutti; il rimescolamento di quelle genti confuse il sentimento morale dei popoli: i pagani parteggiarono come infidi alleati or dell'uno or dell'altro tra i principi cristiani, entrarono nelle guerre intestine, delle quali non fu mai penuria tra gli uomini d'ogni credenza e finalmente in premio degli ajuti prestati al duca di Gaeta conseguirono un domicilio stabile in riva al Garigliano ove si fecero forti, e per quarant'anni appresso funestarono tutte le regioni circonvicine con ogni maniera di oppressione e d'iniquità 92. I nemici del cristianesimo nel castello del Garigliano per la vicinanza del mare e del fiume, donde potevano trar soccorso dalla terra e dall'acqua, dall'Italia e dall'Africa, ebbero un luogo attissimo ai loro divisamenti, v'introdussero una numerosa guarnigione, vi edificarono ripari e ridotti con muraglie grandi e sode, le munirono di torri robustissime e se ne fecero abitazione sicura. La riempirono di gente peccatrice, uomini scellerati, e prevalsero ai danni della cristianità e vi fecero magazzini di vittovaglia, cumolo d'armamenti, deposito di latrocinì, e tennero quivi riparata ogni cosa, e divennero lacciuolo di scandalo, e insidia alla fede, e precipizio alla virtù, e tentazione grande nell'Italia. Gli stessi abitatori del regno quantunque cristiani, nondimeno viziati dal consorzio dei pagani, dopo aver assaporato il dolce del rapinare e del donneare ne seguirono l'esempio, e insieme con loro si dettero all'esercizio delle scorrerie barbaresche entro ai confini della campagna di Roma. Gravissima accusa, ma certamente comprovata per le testimonianze autorevoli di Erchemperto e

91. LEO OSTIENSIS. Lib. I. Cap. XL. S. R. I. T. IV. p. 315.
ERCHEMPERTUS ut sup.

MURATORI. Annali 876. prop. finem.

92. LEO OSTIENSIS ut sup. Cap. XLIII. p. 316.

del Marsicano 93, e per le continue lettere del Papa . L'ot". tavo ed il decimo Giovanni, ambedue romani pontefici e romani cittadini, essi furono che sorbirono il calice del dolore, e finalmente liberarono lo Stato e l'Italia da quella peste.

L'amaritudine di Giovanni ottavo si trova trasfusa in moltissime delle sue epistole, ne produco due brani scritti all'imperadore in questi termini «< 15 Ottobre 876 95. - Quante e quali siano le angoscie che noi soffriamo per gli oltraggi dell'empia genìa dei saracini come potrò dir' io? Niuna penna basterebbe a descriverle, e tutte le foglie delle selve, qualora si convertissero in lingue non potrebbero raccontarle . . . Ahimè! che vivo immerso nel dolore, e non tengo dinnanzi altro godimento che quello scellerato onde esultano i nemici di Cristo allorchè struggono i fedeli in mezzo ai tormenti. Il sangue dei cristiani si spande attorno, le anime devote a Dio si consumano, ogni luogo è ripieno di ruina e di strage. Chi sfugge alla spada cade in mezzo alle fiamme, e chi dal fuoco scampa e dal ferro è fatto prigione, e chiunque è preso prigione va dannato a perpetuità nell'esilio. Le città, i castelli, le campagne sono deserte di abitatori e divenute covili di fiere: i vescovi errano fuggiaschi in lontane parti; e le genti derelitte omai non trovano altro rifugio che nelle mura di Roma. La punta acerba di questo dolore trapassa come acutissima spada l'anima nostra. Ecco, o carissimo, ecco i giorni della tribolazione e del cordoglio Siede trista la città signora delle provincie, anzi è prossima alla ruina... Chi darà acqua al mio capo, ed agli occhi miei un rivo di lacrime, perchè io pianga notte e giorno sopra i mali della mia patria ? »

93. LEO OSTIENSIS seu MARSICANUS ut sup. Lib. I. Cap. XL. S. R. I. Tom. IV.

p. 315.

ERCHEMPERTUS. Histor. Longobar. Cap. xxxix. ap. EccHARDUM Lipsiae 1723. Tom. I. p. 70. et ap. PERTZ. Script. Tom. III. p. 253. linea 40.

MURATORI. Annali 876.

94. JOANNIS VIII. EPISTOLÆ ad Carolum imper. ep. 21. - Ad Landulphum Episcopum Capuan. 36. 69. Ad Docibilem Cajetan. 38. - Ad Pulcarem Præfect. Amalphitan. 39. - Ad Sergium Neap. 40. Ad Gaipherium Salernit. 52. 74. et 206.ext. in COLL. CONCIL. REGIA. Parisiis 1644. Tom. XXIV. MANSI COLL. CONCIL. Noviss. Tom. XVII.

95. JOANNIS VIII. Epistola 21. Carolo Calvo imperat.

BARONIUS. Annal. 876. N. 31.

PHILIPPUS JAFFÈ. Regesta Pontificum Romanorum, in-4. Berolini, 1851. N. 2291.

L'altra lettera allo stesso imperadore, data ai 10 Febrajo del 877, dice così 96. «Non abbiamo potuto, figliuolo carissimo, spedirvi i nostri messaggeri nè per terra nè per mare: ambedue le strade ci vengono chiuse dagli infedeli e dai cattivi cristiani Noi siamo conturbati da validissima amaritudine e da ineffabile angoscia. Tutta la provincia di Campagna è stata malmeggiata sossopra dagli abominevoli saracini: già costoro hanno occupato i passi dell'Aniene, che da Tivoli scorre a Roma, e continuamente trapassano il fiume ed entrano a bottinar nella Sabina e nei luoghi propinqui. Essi hanno diroccate le chiese dei santi, profanati gli altari di Dio, oppressati i sacerdoti, insultato alle vergini, straziati i fedeli, molti ne hanno con ogni maniera d'uccisione morti, e molti con ogni sorta di violenza menati in schiavitudine. Il popolo delle regioni vicine è quasi già sterminato. Che dirò io? Cosa parlerò? Sento il mio cuore addolorato come se fosse trafitto da un ferro acutissimo, ed ascolto le voci del sangue innocente dei figli miei gridar dalla terra e chiamar da Dio la vendetta ».

Siffatte scritture rivelano un'anima grande, che piena d'alto intendimento e di squisito sentire, riversa a largo corso un torrente di robusta e maschia eloquenza. Il trambasciamento di papa Giovanni e la sollecitudine sua per la salute dei fedeli si vede cogli occhi ad evidenza in tante altre lettere, ove con molta varietà di parole e con fatti sempre nuovi parla all'imperadore Carlo d'occidente, ed anche a Basilio il Macedone imperadore di Costantinopoli : ai quali ambedue rappresenta il debito loro di soccorrere al cristianesimo pericolante, e liberare se stessi, le provincie dei loro dominî, e l'Italia dagli oltraggi dei mussulmani. Alle quali cose molto conferiva la buona intelligenza che passava tra il Pontefice e la corte bizantina mantenuta con grandissimo vantaggio della fede ortodossa dalla pietosa meditazione del patriarca Costantinopolitano santo Ignazio, il quale era tutto a riparare i danni dall'eresia e dallo scisma apportati alla chiesa orientale, ed a secondare i divisamenti del romano Pontefice. E mentre i trattati con l'uno e con l'altro imperadore comechè

96. JOANNIS VIII. ep. 30. ad Carolum Calvum imperat. in COLLECT. ut sup. JAFFE cit. N. 2306.

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