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Ma al tempo stesso che Bajazet per mezzo di Boccolino minacciava l'Italia, il Papa mostrava in Roma agli occhi del mondo tal personaggio, quale poteva far tremare l'istesso sultano sul suo trono di Costantinopoli, cioè il suo competitore e fratello. La comparsa di quest'uomo a Roma, ed i conti che poi si fecero sulla persona sua mi costringono a ripigliar la cosa dall'anno 1481, nel qual tempo, come avanti sta scritto, morì di flusso Maometto, e la sua morte fu cagione di essersi ricuperato Otranto nella Puglia. Costui lasciò morendo due figliuoli già adulti, che sempre per gelosìa aveva tenuti lontani dalla corte e divisi tra loro, che solo una volta gli permise di vedersi insieme nel tempo della sua vita: l'uno di nome Bajazet stava confinato sotto il titolo di governatore nella provincia di Paflagonia, e l'altro chiamato Gemma o vero Gemgem ed anche Zizim, governava la Licaonia e faceva residenza nella città d'Iconio. Mancato il padre di morte inaspettata, ambedue i figli, che avevano ciascuno molto partito tra le milizie e tra i cortigiani, presero la corona dell'imperio; Bajazet si fece proclamare in Costantinopoli, moderna sede, e Gemma in Bursa antica residenza della casa ottomana. E stando le due fazioni colle armi impugnate si mossero condotte dai due fratelli l'una contro l'altra per decidere in battaglia le proprie ragioni. La fortuna sorrise ai voti di Bajazet menando diritto alla sua corte quello Jacometto che Otranto espugnato aveva, il quale essendo uomo nelle cose di guerra valentissimo, di gran consiglio, e seguito da buon numero di milizie veterane, rassicurò Bajazet nella capitale, e poi dopo una lotta feroce obbligò Gemma rotto più volte a ricercare nell'esilio quella sicurezza, che gli consentirono i primi nemici della casa sua, cioè il gran maestro ed i cavalieri di Rodi. E siccome allora quasi tutti i principi per diversi interessi e ragioni volevano averlo in mano, e lo chiedevano al tempo stesso gli ungheresi, gli egiziani, e le corti di Francia e di Napoli, così il gran maestro pensando liberarsi dalle molestie deliberò di metterlo in poter del Papa. Laonde, dopo averlo fatto ritenere ben guardato in una commenda d'Alvernia, lo mandò nella rocca di Civitavecchia, donde poi il Papa fecelo entrare in Roma con quella

magnifica cavalcata che i cronisti del tempo minutamente descrissero 154.

La presenza di tale uomo a Roma divenne freno potente ad imbrigliare e ritenere nei confini suoi l'imperadore Bajazet, che tremava sempre quando che udiva profferire il nome di questo fratello, tanto più caro ai soldati ed alla plebe mussulmana, quanto maggiore era stimata la sua sventura; e poichè non aveva potuto levarlo dal mondo nè col veleno nè col ferro, siccome più volte si era argomentato, procacciò almeno che il Papa non se lo lasciasse sfuggire: ed a tal fine, sotto specie di mantenerlo, mandava a Roma quarantamila fiorini ogni anno, e protestandosi alieno dal guerreggiare contro i cristiani e dall'offendere il Pontefice gli scriveva anzi lettere ufficiose, che possono ben comprendersi dallo indirizzo seguente 155: « Abdelais sultano, luogotenente d'Iddio in terra, mantenitore della fede e giustizia maomettana, sostenitore di quanto ha comandato l'eterno, giudice sopra i giusti e peccatori, salvatore della verità, procuratore della pace, protettore della stirpe dei profeti, signore dei principi e baroni turchi mori e cristiani in tutte le parti dell' India, guida degli abitanti nelle sante magioni della preghiera, vicario di Dio in terra sopra la fede maomettana, credendo e sperando in Dio uno e vero. Al santissimo e beatissimo signore Innocenzo papa ottavo, vicario d'Iddio in terra, giustissimo e devotissimo papa di Roma, signore e mantenitore della fede, principe e signore di tutti i signori e principi cristiani, signore della terra, del mare, dei fiumi, signore dei patriarchi, vescovi, preti e monache, maestro della buona via, amatore del ben fare, amor diletto dei principi, fiato del giustissimo Iddio; Dio vi ha creato in suo luogo a difendere la giustizia; così eseguite e perseverate ». Conforme a siffatta filastrocca di principi era la seguenza delle scritture pubbliche di Bajazet ma sottomano cotesto gran mantenitor della pace, e della giustizia manipolava una prattica per ammazzare di ve

134. NOTAJO DEL NANTIPORTO. cit. pag. 1106.
INFESSURA. S. R. I. Tom. III. Parte II. pag. 1224.
Bosio. Stor. Gerosolim. cit. Lib. XIV. Parte II.

RAYNALDUS. Ann. 1482. n. 36.-1488. n. 9.-1489. n. 1. 2.

155. MALIFIERO. Annali Veneti. ARCH. STOR. ITAL. Tom. VII. Parte I. p. 139.

leno il Papa insieme col fratello; e così ad un sol colpo liberarsi dalla paura, risparmiare il tributo, e finire di lambiccarsi il celabro nel comporre i titoli delle sue lettere 156.

-1494.

Tuttavia quando costui non ardiva muoversi per rispetto di Gemma, un traditore faceva calare in Italia Carlo ottavo, ed apriva il corso a quella larga piena di sciagure, che inondarono poi la penisola, e sommersero peggio di ogni altro gli autori del grande misfatto. Il Monarca francese accingendosi a rinverdire i diritti della stirpe angioina sulle campagne di Napoli faceva correre la voce presso i buoni cristianelli, come scrive il Muratori, di venire in Italia non per altro che per andar poi da Brindisi contro il turco 457: papa Alessandro, che era succeduto ad Innocenzo, si rivolse a sconsigliarlo, mostrandogli il pericolo che il re di Napoli mosso dalla disperazione chiamasse in sua difesa il turco 158 e sempre col turco in mezzo dall' una parte e dall' altra, si venne alla guerra. Carlo scese a Pavia, passò in Toscana, entrò dentro Roma, il Papa si fortificò in castello Santangelo, poi si fecero capitoli, si consegnarono ai francesi Civitavecchia, Ostia, Terracina, Viterbo, e Spoleto 159, e per mallevadori della concordia Cesare Borgia, e Gemma sultano: dei quali il primo si fuggì non appena giunto a Velletri, ed il secondo trovò nella corte di Carlo chi facesse il piacere di Bajazet, e lo mandasse speditamente all' altra vita.

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XXII. — Io non mi allargo tra le vicende generali del mondo, ma stretto al proposito mio dirò, che temendo i principi nostri non forse volesse Carlo mettere a tutti il giogo sul collo, si collegarono insieme a Venezia; e sotto pretesto di fare anche essi la guerra al turco 160, non solo prestamente levarono fanti e cavalli, ma improvvisamente lo assalirono e respinsero oltre i

156. RAYNALDUS. Ann. 1490. n. 1. et 5.
INFESSURA ut sup. p. 1231.

157. MURATORI ann. d'Italia 1494. prop. fin.

158. MURATORI ann. 1494. post. princ.

RAYNALDUS ann. 1494. n. 15. e 20. in fine.

159. RAYNALDUS an. 1495. n. 2.

GUICCIARDINI. Stor. d'Italia. in-4. Venezia 1640. p. 50.
160. MURATORI ann. 1195. in medio.

monti: dopo che, essendo egli morto ed anche succeduta un' ombra di tregua, parve al Papa poter sotto quella celebrare in Roma per l'anno mille e cinquecento il Giubileo. A tal fine, volendo tener sicura la spiaggia e libera la navigazione perchè i pellegrini da ogni luogo volentieri concorressero, ordinò alcuni capitoli per la guardia del mare.

Aveva già Innocenzo ottavo nell'anno mille quattrocento ottantasei imposto la contribuzione del due per cento sopra tutte le merci che si introducevano in Roma, e così formato quel che potrebbe chiamarsi la dote per mantenere alcun naviglio alla guardia contro i pirati e contro ogni altro perturbatore della navigazione. Alessandro sesto trovando l'ordinamento già fatto se ne prevalse a fine di metter su una squadretta di tre legni, cioè una fusta e due brigantini. Era la fusta un bastimento da remo usato in guerra, cioè una specie di galea piccola e velocissima, della quale sì fa menzione sovente dagli scrittori del trecento; non differiva dalle galere in altro che nel taglio del corpo più sottile e scorrevole, e nel numero dei banchi che ove le galere ne portavano venticinque, mettendo cinquanta remi tra le due bande, la fusta all'incontro non ne aveva più che venti o ventidue, cioè remi quaranta o quarantaquattro. I brigantini poi erano grandemente diversi dai legni moderni che portano l'istesso nome questi innalzano due alberi verticali e fanno strada principalmente con le vele quadre, ma i brigantini antichi erano legni a remo, portavano vela latina, e per la insigne loro velocità venivano adoperati come corrieri, e si davano alcune volte al servigio dei comandanti, affinchè potessero celeremente trascorrere o mandare gli ordini in ogni parte dell'armata. I brigantini portavano un numero minore di banchi, cioè dai dodici ai sedici, e quindi remi ventiquattro o trentadue, e coloro che li manovravano erano al tempo stesso remigi e combattenti, vale a dire gente libera, e non schiavi o sforzati, che nel caso di combattimento lasciavano il remo e pigliavano le armi.

Il comando di questa squadretta venne affidato a due capitani o prefetti della guardia del mare, che furono Lorenzo Mutino, e Ludovico Mosca. Questi era un cavaliero romano e buon marino, del quale dovrò in seguito fare più volte menzione; l'altro poi di origine ligure come figlio di Stefano Mu

tino signore di Sanstefano e di altre castella in Lunigiana, che avendo militato nella marina pontificia al tempo di Nicolò V e di Sisto IV erasi trapiantato quì con la famiglia, dalla quale uscirono il predetto Lorenzo cavaliero dell'abito di Santiago e prefetto della guardia del mare sotto Alessandro VI, Girolamo capitano di galera al tempo di Giulio II, e poi altri discendenti che furono ascritti alla nobiltà di Roma; e come tali cavalcarono Giovanni Battista Mutino tra i quaranta nobili romani per il possesso di Paolo quinto, ed Arcangelo Mutino per quello di Innocenzo decimo 161.

Gli obblighi ed i diritti dei prelodati prefetti della guardia del mare io non giudico che possano intendersi meglio che riportando qui appresso, come fo, a verbo a verbo tradotti gli stessi capitoli, ove si contiene tutto quello che possa riguardare siffatto argomento 162.

<< Patti e convenzioni tra il sommo pontefice Alessandro VI e la camera apostolica da una parte; e dall' altra parte Ludovico Mosca con Mutino di Moneglia deputati prefetti della guardia nella marina romana da Terracina a Montargentaro.

Al nome di Dio. Così sia. Sette giugno 1499.

<< Il Santissimo padre e signor nostro seguendo l'esempio di alcuni suoi predecessori e desiderando mantenere pace e sicurtà non solo nelle terre, ma anche nelle marine dello Stato ecclesiastico, e specialmente in quelle vicine a Roma, cioè da

161. CANCELLIERI. I solenni possessi dei pontefici in-fol. 1802. pag. 169. et 231. CATASTO DEGLI STATUTI, FRATELLI, ED ANNIVERSARI, Bolle, E PRIVILEGI. Nell'archivio del SSmo Salvatore ad Sancta Sanctorum di Roma. MSS. che comincia: 1419. a pag. 203. sotto l'anno 1510. riporta la seguente particella. «Hieronymus Mulinus Januensis capitaneus trium remium, pro quo solvit Hieronymus de Picchis florenos quinquaginta pro anniversario ejus animæ, sepulto in Ecclesia sancti Augustini. »

GALLETTI Inscriptiones romanæ in-4. Romæ 1769. Tom. II. class. X. n. 7. – D. 0. M. Stephano Mulino Masa F. S. Stephani aliorumque oppidor. in Lunen. provincia dom. - Nicolai V. Sixti IV. et Alfonsi Aragoniæ Regis – Triremium rerumque nauticarum præfecto - Ætat. LXXIX. erepto. Non. februarii MCCCCLXXXV.- Et Laurentio Mutino Stephani F.- A Ferdinando rege Catholico inter æquites S. Jacobi adscripto - In eamdem triremium præfecturam post parentem suffecto ab Alex. VI. et Julio II. - Desinit Kal.Decem. MDIX. – Egregio inter duces nobili script. elogio elatis. – Luchino de Ruvere Steph. Paulœque Pichæ Laurentii Uxor. Præstantiss. – Laurentius Mutinus Proavis Abavisq. P. MDCXXXV. –

TARGIONI TOZZETTI, Viaggi in Toscana. in-8. Firenze 1777. T. XI. p. 83. 162. ARCH. SECRET. VATICANO. Instrumentorum Cameræ Alexandri Papæ VI. Tom. XI. p. 231. die 7. junii 1499. MSS. BORGIANI nel museo di Propaganda in Roma.

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