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sette ne pativano. Per la qual cosa il magistrato di Civitavecchia ordinò che l'armata dasse fondo fuori del porto, e ricevette in terra, dopo usate le cautele sanitarie, solamente il cardinal legato, i capitani ed alcuni altri ufficiali delle galere incolumi.

Seduto pertanto il Pontefice al trono, ed ai loro scanni i padri porporati, vennero introdotti il legato apostolico, l'ambasciadore napolitano ed i capitani genovesi, tra i quali prima d'ogni altro prese a parlare l'ambasciadore, dicendo: venire esso a chiedere che il Pontefice romano non consentisse di perdere i frutti della vittoria; esser disegno del suo re continuar la guerra, espugnar la Vallona, cacciare i turchi dall'Epiro, altrimenti l'Italia sarebbe sempre in pericolo, e per questo esser venuto ad implorare che l' armata papale fosse rispedita indietro per congiungersi con quella del re; massime allora che erano in Napoli le ventiquattro caravelle di Portogallo, e se ne aspettavano altre quaranta tra navi e galere dal re di Spagna, che unite alle ventiquattro del Pontefice, ed alle cinquanta di Napoli formerebbero una forza di cento trentotto legni atti a qualunque impresa in ogni tempo, ma principalmente allora che la casa ottomana aveva perduto il maggior principe che sino a quel tempo si fosse di lei generato, e che l'imperio diviso si consumava tra i suoi figliuoli nella guerra intestina: finalmente, mostrando i patti fermati dal Papa, concludeva, che avendoli il Legato violati, partendosene senza il consentimento del re, non poteva altrimenti riparare ai danni, per errore deplorabile commessi, se non mediante un pronto ritorno ed una efficace cooperazione alle imprese successive.

Allora il Pontefice, che già per molte lettere aveva comandato al Fregosi di non lasciare l'armata, ma anzi di sostenere il re in ogni cosa che imprenderebbe, e qualora fosse già con la squadra sua venuto via, gli aveva prescritto di ritornare nella Puglia e mantenere la lega, rinnovò pubblicamente alla memoria di quello il sunto principale di queste istruzioni, e con gravi parole l'esortò paternamente ed ammonillo per il ritorno. Ma il cardinale che molte cose più sapeva di quel che non volesse dirne, cominciò a girar di largo con le risposte, e scorrendo per le generali, dimostrava essere il ritorno impossibile, tanto per la stagione oramai divenuta contraria, quanto per la

pestilenza che, avendo in poco tempo ammazzato diverse persone anche di conto, aveva pure riempito di tanto sbigottimento le galere che niuno avrebbe potuto sperare vittorie da gente ridotta a quello stremo, ma piuttosto temerne vituperio e danno : e poi finiva sopra la strettezza già nota, che quand' anche si potesse tornare per la stagione, senza contaggio, e col beneplacito dei capitani, occorrevano subito quarantamila scudi di oro per raddobbarsi. Mentre queste ed altre simili ragioni si producevano dal legato con quella gravità e modestia che alla sua nascita si conveniva, un capitano di galera indignato che le parole sue fossero state troppo benigne, domandata al Pontefice la licenza di parlare, così cominciò 127. « Non fo preamboli, beatissimo padre, e non cerco aggiramenti di parole nè pompa di frasi; ma dico chiaramente quel che occorre nella causa che trattiamo. Il nostro cardinal legato ha già più volte ripetuto che noi a bordo abbiamo penuria d'ogni cosa, e soltanto abbondanza di peste. La nostra gente si è sbigottita, ed ancorchè noi capitani volessimo ubbidire e ritornare alla guerra, non ci seguirebbe nessuno degli uomini nostri, nè marinari nè remigi; perchè questi non sono nè sforzati nè gente da catena, come si usa a Napoli, ma volontari, che fanno il mestiero per mercede mensuale, secondo i patti che si costumano tra noi. Nondimeno ancorchè nulla dre santo, mancasse e quandanche fosse adesso il principio di primavera come è d'inverno, noi non torneremmo più a Napoli a nessun patto, quantunque grasso, e questo per non obbedire mai più nè al re, nè al figlio. Uditemi vi prego, padre santo, e vedrete subito se a diritto o a torto facciamo lamento di loro. Appena comparve ad Otranto l'armata vostra, alcuni dei più ragguardevoli capitani scesero in terra, e andarono ad Alfonso, figlio del re, comandante dell'assedio, a fine di offerire se stessi e tutta l' armata al suo piacimento. Quanto amorevolmente ci abbiano accolto e trattato lo sanno essi, e non l'ignoriamo noi: tuttavia per debito d'onore e di fede ab

127. VOLTERRANO cit. S. R. I. Tom. XXIII. p. 148..

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GIROLAMO SERRA. Storia dell'antica Liguria e di Genova, in-12. Capolago 1835. Tom. III. p. 232.

biamo sbarcato mille e cinquecento arcieri di tanta destrezza che qualunque dei nemici mostrasse un pezzo solo del suo corpo quello era immediatamente trafitto, e tanto terrore ne venne nel cuor dei barbari, che da quel giorno non ardirono più uscir fuori alle consuete sortite, e nè anche farsi vedere sul muro, come prima usavano. Questo poi dovete tener per certo, e voglio ridirlo io alla presenza di tutto il mondo, che se la vostra armata non fosse andata colà, Otranto non si ricuperava per quest'anno. Dico cosa conosciuta da tutti, e confessata ingenuamente dagli emuli, e da chiunque più guarda alla verità che ai favori. A voi, beatissimo padre, è debitore il re e la repubblica cristiana, più che a qualunque altro, di aver mandati i vostri genovesi a quell'impresa. Dicano altri checchè vogliono, la verità è una, e quando per evidenza si dimostra, allora non può restare occulta o sfigurata; il tempo non farà che confermarla ma questo lasciamolo a chi verrà, e passiamo avanti. Quando il duca di Calabria disegnò dare l'assalto, siamo andati noi a richiedere di essere i primi, perchè la nostra gente è assueffatta a quel genere di battaglia, e capacissima a inerpicarsi sopra i scoscendimenti, per l'agilità delle membra e per essere nata ed educata tra monti e tra rupi ove è più difficile il muoversi che non sopra le muraglie fracassate. Noi promettevamo una certa vittoria, e Iddio la ci avrebbe conceduta, se avesse Alfonso consentito. Ma, o per invidia alla vostra e nostra gloria, beatissimo padre, o per avarizia sua, volendo per se le primizie del sacco, lo impedì, dando ragioni senza costrutto. Tuttavia permise Iddio, nell'intimo dell'anima ne provo e ne proverò sempre amaro cordoglio, permise Iddio che le cose dell'assalto andassero a rovescio: collocò Alfonso i suoi napolitani alla fronte, questi scorsero impetuosamente alla muraglia, fecero ad un tratto la scarica delle armi da fuoco, e tutto l' esercito concorse appresso verso la breccia: ma il nemico saldo al suo posto, manovrò tanto presto e sì giusto con le sue batterìe, che non ci fu rimedio; e bisognò chiamare la ritirata, dopo sì grande strage dei cristiani, specialmente di quelli messi alla testa, che fu miserabile ed orrendo spettacolo l' averlo veduto non solo, ma anche il ricordarlo e ridirlo. Dio abbia in pace quelle anime sante che morirono come martiri; e la vostra be

nedizione, Padre piissimo scenda propiziatoria sulla tomba dei defonti. Questo infortunio non ci sbigottì, in ogni tempo e in ogni luogo abbiamo noi continuato a combattere, e ad eseguire coi fatti quello che ci veniva comandato con le parole; gli ordini del generale non furono mai preteriti; ed i turchi schifavano il riscontro dei nostri arcieri 128, come gli spiriti infernali sfuggono la croce. Narro cose pubblicamente conosciute da tutti: io non mento. Il dir falsità è cosa turpe per chiunque la dica, alla presenza di chicchesia; ma nel cospetto del vicario di Cristo in terra, una menzogna sarebbe delitto capitale e peccato quasi direi irremissibile. Io lo ripeto; non mento. Dopo quella strage che ho detto, la città d' Otranto capitolò la resa a dì dieci settembre, come è noto: si fece patto che i turchi se ne andassero ciascuno con la roba che aveva in dosso, e di pecunia portasse via solamente l'argento coniato; tutto il resto colò in mano del signor duca: v'erano nella piazza molte ricchezze, munizioni, ed armi, massime poi l'artiglierìa bellissima d'ogni maniera circa settecento pezzi, cose certamente di gran valuta. Ma di tutto il ricco avere qual mai parte ne toccarono i vostri genovesi? Che n' ebbe l'armata vostra, Padre santo? Nulla, e poi nulla, per Dio! Manco una saetta! 129. Niuna cura hanno preso di noi, nè di voi al quale, come ho detto, sono pur debitori della vittoria conseguita. Non ci hanno messo a parte di niente; mentre che noi se facevamo alcuna preda, subito andavamo a consegnarla nelle mani del duca, ed egli fremeva di sdegno qualora alcuno oggetto benchè minimo venisse occultato. Finalmente sentite questo, beatissimo Padre, e giudicate se fosse avarizia di quella sordida e maligna. Per alcuni giorni noi ci siamo trovati senza biscotto, e questa è sostanza necessaria alla giornata chiedemmo al duca in prestanza dugento monete, e poco tempo a restituirle, sinchè giugnessero le nostre provvisioni, già prima ordinate. Rispose: non posso. Oh! empietà memorabile! Noi stavamo là per servirlo, per la

128. Sebbene fosse già da un secolo adoperata l'artiglieria, nondimeno l'uso delle minute armi da fuoco e dei moschetti era rarissimo allora negli eserciti; e, come da questo racconto apparisce, duravano gli archi e le frecce.

129. VOLTERRANO. S. R. I. T. XXIII. p. 149. B. «Nihil per immortalem Deum, nec sagitta quidem ! »

difesa di lui, dei figli suoi, del suo regno, dell'Italia, del mondo cristiano, a rischio della nostra vita, e colui ci negava il pane per due giorni! Giudicate che fiducia potevamo aver di lui, e peggio ancora dei ministri suoi. Considerate qual debba essere al presente l'animo nostro e se possiamo aver fantasia di ritornargli davanti. Ci ha disprezzati quando era egli stesso oppresso dalla calamità e in mezzo al pericolo; pensiamo cosa farebbe adesso con quest' aura di fortuna, levato in grandezza, vinti i nimici, soggettata la Puglia, apparecchiato il trionfo a Napoli! Dice quì l'ambasciadore che dalla nostra redita potrebbero venire molti vantaggi ai cristiani, e molti danni agli infedeli. Ma io non vedo che danni e vantaggi egli enumeri quando siamo ai tre d'ottobre coll'inverno imminente, che ci giugnerebbe addosso ben prima che si fossero fatte le provvisioni, risarcite le navi, e rimenate là dove stavano. Non parlo della spesa che toccherebbe a voi, beatissimo Padre. Egli dice che sarebbe facile espugnar la Vallona; ed io rispondo che è più difficile di quel che egli crede, dico esser cosa da voler molto tempo lascio da parte i castelli alle fauci del porto, che alla buona stagione potrebbero espugnarsi : ma la fortezza costruita sul monte? Munita dalla natura, dalle rupi, dall' arte? Chi può credere che quella sia robba d' inverno, e di facile vittoria ? Basti l'esempio di Otranto, che pure il re l'aveva vicino negli stati suoi, e tuttavia non l'ha guadagnato che dopo sei mesi di strettissimo assedio. Nè dobbiamo credere che il nemico sia divenuto tanto spensierato e codardo, che pur troppo a nostro danno abbiamo sperimentato essere solerte e prode, d'aver lasciato una fortezza di quella qualità senza presidio gagliardissimo. Dunque questa, con buona licenza, l'è trappola; e chi sa in quale ruina e calamità vorrebbe condurci il re Ferdinando. Iddio perdoni a lui, ed a quelli che vorrebbero prestargli fede 130

Gli astanti in profondo silenzio, e pieni d' ammirazione seguirono tutto il discorso del capitano; e poichè egli ebbe finito si dettero tra loro a considerare le cose rimarchevoli del

130. 1 VOLTERRANO cit. concorda col MALIPIERO. Ann. Veneti. ARCH. STOR. ITAL. Tom. VII. Parte I. p. 133., e col NAVAGERO. S. R. I. T. XXXIII. p. 1168.

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