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a vincere, poi li scongiurava a non portarsi in casa la vergogna; appresso dal fiatamento dei competitori deduceva, che dovessero essere allassati, e concludeva con la parola magica dei marinari: arranca! animo, io dico, adesso daddovero, sotto ragazzi, arranca! arranca! La gioventù robusta ed animosa, stimolata dal nocchiero, dette una voce d'applauso, e maggiormente dentro coi remi; e la barca martana tremolante all'impulso poderoso e retta in filo dal timone, sguizzò avanti ai cornetani, e non guari dopo si prolungò sopra i bolsenesi corse dappoi alcun poco del paro coi primi, in guisa che or questi or quelli erano avanti, e talora entrambi mettevano insieme la prua sull'istesso confine ma i bolsenesi già imbolsiti per la fatica durata a mantenersi nel primo posto, non poterono lungamente competere alla foga dei martani, che animati tanto più nell' arrancare quanto ne vedevano migliore effetto, oltrepassati gli emoli, arrivarono a lunga pezza prima d'ogni altro alla meta tra le acclamazioni festose dei circostanti, che li proclamarono vincitori. Appresso vennero quei di Valentano e di Corneto, avendo ambedue superato i bolsenesi ; perchè questi lasciatisi cadere in viltà, dopo che furono vinti dai martani, si dettero anche per meno d'ogni altro; e temendo le beffe della moltitudine, insieme con quelli delle Grotte virarono di bordo, e si ridussero occultamente ciascuno a casa sua, senza mostrarsi più in pubblico per quei giorni.

Da questa generazione d' uomini aveva tratto i marinari dell'armata sua papa Calisto, e da questa ed altre assai intendeva a reclutarne il successore; quando, oltre alle persone, si accrebbe intorno a lui una miniera di ricchissimo guadagno per far la guerra agli infedeli. Io dico delle sette montagne dell'allume di rocca discoperte quest'anno 1462 nella provincia di Civitavecchia da quel sovrano ingegno di Giovanni di Castro che, per siffatto beneficio utilissimo alla marina nostra sotto molti rispetti, merita bene gli si debbano alcune parole di lode dedicare 56. Paolo di Castro giureconsulto chiarissimo

Roma p. 339.

56. GOBELLINUS ut sup. Lib. VII. Francoforte p. 185.
DELLA TUCCIA. Cronaca dei fatti d'Italia Giornale Arcadico. T. CXXXII. p. 195.
CRONACA DI BOLOGNA. S. R. I. Tom. XVIII. p. 748.

CENNI ISTORICI SULLE MINIERE DELLE ALLUMIERE. in-8. Civitavecchia, presso

del suo tempo, al quale mentre dettava le leggi in Padova concorrevano come ad oracolo i giudici e i litiganti d'ogni paese, poichè tutti lo stimavano uomo di solida dottrina e senza frode, lasciò morendo molta sostanza ai figliuoli già adulti, dei quali il primo seguì le orme paterne e divenne anche esso dottore insigne di leggi; ed il secondo chiamato Giovanni mostrò tale ingegno sin dalla prima età, che più d'ogni altro avrebbe eguagliato, e forse anche superato il padre se fosse stato fermo nel seguire l'istesso cammino: ma datosi agli studî delle cose naturali ed al viaggiare, dopo molti trascorrimenti passato in Germania divenne amico con Enea Silvio Piccolomini, e poi andò a mettere una casa di commercio in Costantinopoli, ove tigneva pannilani fabbricati in Italia con ricchissimo guadagno. Egli usava per mordente delle tinture l'allume orientale; di che, essendo ingegnosissimo ed attento osservatore, studiò la natura, le proprietà, le miniere, ed ogni altra cosa a quello appartenente. Quando poi i turchi espugnarono Costantinopoli, Giovanni travolto insieme agli altri in un vortice di miserie perdette ogni suo avere; e contento di scampar la vita con la fuga, tornò, come ho già detto, alla sua patria, niun altro tesoro portando seco se non quello delle sue preziose cognizioni. Se non che, eletto poco dopo quello stesso Enea Silvio amico suo di Germania al papato, venne a Roma ed ottenne il carico di commissario della camera apostolica nella provincia del Patrimonio; intorno alla quale aggirandosi per l'ufficio suo, ed anche per genio per monti e per selve cercando erbe, zolle e pietre, finalmente trovò l'allume.

Da Civitavecchia andando verso la deliziosa terra della Tolfa si vede continuamente elevarsi il terreno, e prima rigonfiarsi in poggi e colline che tutta intorno cingono la città, e poi sorgere le montagne della diramazione subappennina: quivi è rigogliosa vegetazione, opache selve di antiche quercie sul dorso

Arcangelo Strambi 1835. Volume di piccola mole, ma di gran pregio, comechè tratto dalle migliori sorgenti, per opera di S. E. monsignor TEODOLFO MERTEL ministro di sua Santità per gli affari interni di stato, il quale possiede ancora una raccolta di molte notizie e documenti intorno alla stessa materia, che per sua cortesia ha voluto non solo comunicarmi, ma anche lasciarla lungamente nelle mie mani.

dei monti, e tra le valli acque irrigue e pingui praterìe. Per quei luoghi camminando Giovanni vede gran copia d'agrifoglio (ilex aquifolium), se ne maraviglia, considera l'arboscello, e ricorda che desso appunto alligna nell' Asia presso alle miniere: trova pietre biancastre, di aspetto minerale, morde, sente il salso, calcina, macera, passa la rannata nel cassone, e ne cava l'allume bianchissimo e cristallizzato. Così dunque venuto in palagio al Papa, presenta una sua scrittura in questa sentenza: « Oggi, beatissimo Padre, io vi do la vittoria dei turchi, oggi per opera mia voi spogliate i nemici, e arricchite il vostro tesoro. I turchi hanno sino ad ora cavato annualmente dalla cristianità sopra trecento mila fiorini d'oro per darle in cambio l'allume che è necessario alla tintura delle lane, e che tra noi non se ne trova se non poco nell'isola d'Ischia e nell'antro di Vulcano tra le Eolie, miniere ambedue già sfruttate dai Romani. Ora io ho discoperto nello stato vostro sette montagne tanto ripiene di questa preziosa sostanza che possono bastare a tignere sette mondi. Se voi volete chiamare gli artefici, e aprir la miniera venderete l'allume a tutta l'Europa, e toglierete ai nimici l'ingordo guadagno, che per voi sarà più che doppio beneficio. Voi avete da presso tutto quel che occorre, le legne per la fornace, l'acqua per la macerazione, ed il porto di Civitavecchia per ismaltire i prodotti. La pecunia, nervo di guerra, sgorgherà fuori dalle vostre miniere, e farà rigurgitar altrettanto l'erario vostro, quanto più quello del nemico dovrà restarne

smunto ».

Le proposizioni di Giovanni sembrarono deliri, e alcuni già lo sbeffavano come astrologo che accennasse fortuna per congiungimento di pianeti: ma colui saldo nella certezza del suo convincimento non si avviliva per ripulsa, anzi ripeteva e faceva ripetere istantemente che si venisse alla prova ed ai fatti. Laonde togliendo per sua costanza ogni suspicione di frode, e chiamati da Genova alcuni che avevano lavorato di allume in Asia, si trovò esser vero quello che aveva Giovanni asserito, anzi molto più che detto non avesse perchè l'allume romano risultò per la qualità ed abbondanza superiore all' orientale: talchè nel primo anno la camera n' ebbe di puro guadagno novantacinque mila fiorini d'oro, e fu poi per giuramento di tutti

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i cardinali in conclave decretato, che le rendite della stessa miniera si dovessero da quinci innanzi intieramente spendere per la difesa della cristianità e per la continuazione della guerra

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57.

Nel mezzo al campo delle istorie irto di triboli e di spine sono entrato a raccogliere questi due fioretti dell'innocente sollazzo di Bolsena e del ricco guadagno dell'allume, che rallegrarono la corte romana tra il continuato dolore, che richiama me pure alle sciagurate guerre onde restò funestato il mondo e l'Italia nel breve pontificato di Pio. Quando egli salì al trono e voleva pacificare in Mantova i principi per condurli alla crociata, allora appunto, come ho detto avanti, Giovanni d'Angiò invadeva il regno di Napoli e principiava la guerra di quattro anni, nella quale o per amore o per forza tutti gli altri reggimenti della penisola dovettero intervenire a favor di questi, o di quelli. Anche Pio entrò colle armi a sostenere il re Ferrante d'Aragona che possedeva il regno, e ne aveva ricevuta da lui medesimo l'investitura dopo la morte del padre. Allora Antonio Piccolomini Todeschini nipote di Pio, duca d'Amalfi, conte di Celano, sposato ad una figliuola naturale del re Ferrante prese a spalleggiare il suocero con possente soccorso di gente pontificia al tempo stesso nella Sabina essendosi ribellati i Savelli, Federigo duca d' Urbino con altre milizie papali li riduceva alla necessità d' implorare gli accordi; di più Sigismondo Malatesta acconciatosi con Giovanni duca d' Angiò faceva la guerra al Papa, che procacciava imbrigliarlo con le armi di Romagna guidate da Ludovico Malvezzi. Siffatto rimescolamento io non lo sciorino per altro che per venire alle mie conclusioni, cioè che la crociata era impossibile, e che in quella occasione di combattere il Malatesta avvenne un fatto d'arme sul mare, che non devo preterire. Avendo il duca di Montefeltro e Napolione Orsini con assai gente pontificia dato una gran rotta all' esercito del Malatesta presso a Mondolfo, gli ritolsero quasi tutte le terre del vicariato, e ridussero la guerra

57. JACOBUS AMMANATI, Cardinalis Papiensis Comment. Lib. II. Francoforte, in-fol. 1614. p. 371.

RAYNALDUS. Ann. 1464. n. 55.

a Fano, città molto ragguardevole sulla marina dell' Adriatico, ove si erano riparati gli avanzi dell' esercito di Sigismondo. I papalini con cinque mila fanti e settecento cavalli impresero l'assedio di quella città; e volendo con la espugnazione della medesima terminar la guerra, la strinsero da ogni parte verso terra, e dal lato del mare la bloccarono con una armatetta di piccoli bastimenti, sostenuti da una grossa nave e da una galera, fatte venire d'Ancona e da Pesaro. Roberto figlio di Sigismondo lasciato a difendere la piazza si governava con quella bravura, che traevano come in retaggio tutti gli individui della sua casa: ma trovandosi ridotto a mal partito chiedeva istantemente soccorso al padre, ch'era andato esso stesso a ricercarne a Napoli ed a Venezia, donde, con l'ajuto del senato che sottomano lo favoriva, potè spedire un certo numero di bastimenti con un vascello e certe fuste tutte cariche di provvigioni e di milizie per soccorrere il figlio.

La squadra papale intanto faceva diligentissima guardia innanzi a Fano, ed appariva chiaramente che niuno avrebbe potuto entrar dentro senza prima venire a battaglia con i papalini risoluti a proibirlo. Per la qual cosa volendo il capitano del soccorso ad ogni modo passare avanti e fermarsi poco, fece elezione di venir nella oscurità della notte, sperando con piccola battaglia rompere il blocco, entrare nel canale, e salvarsi poi sotto la protezione delle batterie collocate sulla punta del medesimo. E principalmente considerava che la riuscita del disegno potrebbe ottenersi per la forza della sua nave poderosa, all'urto della quale, secondo l'opinione sua, niun'altra poteva resistere. Dopo la mezzanotte pertanto del dì ventiquattro settembre, preso l'ordine ed il vento venivano quelli del soccorso a gonfie vele sul porto, quando i papalini s' interposero a tagliarne la strada e presentarono la battaglia, che terribile altrettanto che cieca nelle tenebre con ispessi tiri di artiglieria e di moschetti s' impegnò tra le due parti. Ma le cose si volgevano a manifesta ruina dei papalini, perchè nel vero la nave grossa del Malatesta tempestava con furia grande sopra le minori anconitane, e col vantaggio del vento le incalzava tanto da doverle in breve sommergere od attrappare, se un prete, forse cappellano della squadra, uomo di sottile ingegno ed intrepido,

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