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pale con maggior rapidità quando si appressava il fatale passaggio. Ed allora pensando Valentino non aver miglior partito che andare avanti, aringò i compagni, dimostrò che dovessero far cuore eguale alla grandezza del pericolo, e ricordando le opere di valore in altre occasioni pratticate, disse, che quantunque nati di oscuro lignaggio sarebbero pur divenuti chiari nel tempo a venire per la nobilissima impresa di aver salvato il Pontefice romano e vicario di Cristo dalle mani bestiali degli avversari. Aveva appena Valentino in rozze frasi terminato il suo discorso che già comparivano le ripe del capo gremite di gente immersa nel disordine delle passioni; e più ancora minaccevole compariva nel mezzo la barcaccia inimica a contendere il passo, a ghermire i vegnenti, ed a gettarli sull'una delle ripe in poter dei riottosi. Messo a tale distretta Valentino rileva la voce ed esclama: compagni, coraggio, e avanti; voga battuta, addosso al nemico, prua contro prua, armi contro armi, avanti, arranca! E realmente colla punta della sua barca andò a cercare quella degli avversari, se non che costoro temendo l'impeto di chi veniva sopraccapo, a favor di corrente, e così sfogato, poco fidando (come dissero dappoi) nella fragile barcaccia, dettero il timone alla banda, schivarono lo scontro, e lasciarono sgombero il passo al Valentino. Levossi allora insino al cielo il plauso dei marinari del Papa, e spingendosi tra la confusione dei nimici a tutta lena nel canal d'Ostia, trapassarono il castello, ed entrarono nella sicura e libera strada del mare.

Poco dopo il pontefice Eugenio, ch'era stato sin' allora nella stiva orando, si rassettava nella camera di poppa sulla galera del Vitelli, ove poi facendosi raccontare da Valentino tutte quelle cose che non aveva potuto con gli occhi propri vedere, lodò grandemente il valore di lui e dei compagni, e dette loro, oltre alle promesse di gratitudine perpetua, amplissima mercede. Avrebbe poi voluto salpare incontanente verso il porto di Civitavecchia, ma per il vento australe che da quindici giorni teneva impedita la navigazione dovette restar quella notte sull'ancore alla spiaggia, ove si formò prestamente una specie di corte per il concorso di molti prelati e famigliari che da diverse parti fuggendo vi giugnevano. All'alba del diciannove giugno,

essendosi fatto buon vento e mar tranquillo, sciolsero le vele, e la sera dell'istesso giorno entrava il Pontefice nel porto di Civitavecchia, ove poi sicuramente alloggiato nella rocca scriveva con la data di quel luogo ai principi d'Europa intorno alle cose di Roma e della sua liberazione 115. E poichè ebbe riposato alcuni giorni, volendo andare a Fiorenza, montò sopra la galera che quivi sin dal principio dei tumulti aveva fatto ritenere, e seguito dal Vitelli con la galera sua, e con otto saettìe di civitavecchiesi partissi e sbarcò dopo due giorni a Livorno. Roma poi cadde in poter del Fortebraccio e dei colonnesi; ma il popolo se li scosse presto di dosso, e richiamato Giovanni Vitelleschi rimisero la città a devozione del Papa 116.

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XIV. Intanto che la Toscana e principalmente Fiorenza festeggiavano la venuta del Pontefice, questi concepiva il disegno di contrapporre alle smodate presunzioni dei padri di Basilèa un legittimo e sano concilio, che non già tentasse disunire malamente la Chiesa latina, ma invece richiamasse alla unità della fede la Chiesa greca. Dopo che l'imperador Costantino ebbe trasferita la sede dell'imperio nella città di Bissanzio, per anni quattrocento e sessantanove vi si mantenne l'unità della fede, così che i popoli dell'Asia, gli armeni, gli etiòpi, gli arabi, e gl' indiani in gran parte ritenevano e professavano tutti insieme quella vera credenza ch'era stata in ogni parte annunziata fin dal tempo degli apostoli. Ma quando poi gl'imperadori d'oriente abbandonarono l'unione della Chiesa cattolica, restarono essi stessi abbandonati da Dio in preda ai barbari, che loro tolsero ogni cosa e li ridussero a miserabile schiavitù, dalla quale tuttavia furono più volte preservati per la virtù dei cattolici occidentali: imperciocchè i saracini avrebbero sin dal secolo undecimo distrutto l' imperio greco, se non fossero stati compressi per due secoli dai cattolici delle crociate; anche i turchi sul principio del secolo decimoquarto assaltarono

115. BLONDUs. Cit. Decad. 3. Lib. VI. p. 485.

DELLA TUCCIA. Cit. p. 352. et 339.

116. MURATORI. Ann. 1434. ante med.

e

l'imperio, e allora fu difeso dagli armeni gente cattolica e per quei tempi potentissima: altrettanto fecero gl'italiani come sopra ho detto ai capitoli primi di questo libro. Ma nella metà del secolo susseguente, al quale ora con la nostra storia ci ritroviamo, avendo i turchi rinnovate le ostilità con tanto successo che stavano già già per ingoiarsi quel poco di Grecia che rimaneva insieme alla capitale, l' imperadore mandò per ajuto al Papa ed ai principi cattolici rappresentando la sua distretta, la propensione a convenire insieme intorno agli articoli della fede. Le proposizioni dell'imperadore giugnevano alla corte del Papa altrettanto gradite quanto sfiduciate, perchè da una parte non appariva che si potessero frenare i turchi, e dall' altra che si volessero contentare i greci, i quali per la lunga discordia erano troppo abituati a tener broncio e le altre nazioni cattoliche dell' oriente, oppresse sin'allora dagli stessi greci e impedite da loro di comunicar con Roma, o si erano precipitate nella superstizione dei barbari, o avevano impiantate nuove sette di perdizione. Tuttavia siccome non doveva in affare così grave omettersi niuna diligenza, massime per l'utilità che poteva provenirne a tutta la Chiesa orientale, così papa Eugenio intese gagliardamente a questo fine, e giunse pure a celebrar l'unione dei greci e dei latini per l'ultima volta prima che cadesse l'imperio. Superati pertanto gli ostacoli che si frapponevano, come sempre accade, al compimento dell'opera grande, i ministri del Papa e gli ambasciadori di Costantinopoli convennero di celebrare un concilio generale, ove i prelati della Chiesa orientale ed occidentale convenissero insieme per trattar della fede; e Giovanni Paleologo imperadore con il patriarca di Costantinopoli, e circa settecento altri personaggi, vescovi, dottori e principi di quella nazione si profferirono pronti a venire in Italia con tutto che dovessero lasciar la casa loro esposta alle incursioni dei turchi. Ma al tempo stesso il cavalier Giovanni Bissipato ed Emmanuele Tarcagnotta, che a nome dei greci trattavano queste faccende, concertarono i capitoli preliminari della futura raunanza in questi termini: che il Papa mandasse al Paleologo otto mila ducati per il viaggio, di più facesse le spese al medesimo e a tutti i suoi durante il concilio, spedisse trecento balestrieri a guardar Costantinopoli nella sua

assenza, e dasse il carico ad alcun suo fidato di andare con quattro galere a levarlo e rimenarlo a casa.

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Quindi il santo Padre dovendo trasmettere il danaro e le milizie insieme con due nunzi apostolici a condurre in Italia l'imperadore, e trovandosi egli stesso quasi fuggitivo fuor dello Stato suo mentre gran parte delle provincie era occupata o dallo Sforza o dal Fortebraccio, pigliò quattro scafi di galere a Venezia, e armatele di sua gente, con sopra i trecento sceltissimi balestrieri delle bande del Vitelleschi, le mandò a Costantinopoli, diputando per capitan generale di quella squadra il nobile An tonio Condulmiero suo nipote al quale fece stendere la patente così ridotta a nostro volgare 117, « A perpetua memoria di questa cosa. Eugenio vescovo servo dei servi d'Iddio, al diletto Antonio Condulmiero nobiluomo, e capitano delle nostre galere destinate a Costantinopoli, salute. Diligentemente considerando i pregi cospicui della probità e della prudenza onde il Signore ha fatto ricca la tua persona, e la prontitudine di tua volontà per tutto quello che risguarda l'onor nostro e della romana Chiesa, e la singolare perizia tua nelle arti marinaresche, per le quali nella tua stessa patria tanta lode conseguisti, possiamo senza dubitazione sperare che per lo tuo ministerio saranno bene ed utilmente governati quegli affari che ti verranno commessi. Avendo per tanto fatto allestire in Venezia quattro galere per condurre in Italia il carissimo in Cristo figlio nostro l'imperador dei romèi ed il venerabile fratello Giuseffo patriarca di Costantinopoli con altri molti prelati greci a fine di celebrare l'unione della Chiesa occidentale ed orientale, e richiedendosi a quella squadra per l'accesso ed il recesso un capo e duce di merito, abbiamo pensato alla tua persona ed alle doti singolari che la rendono adatta a questo ufficio. Quindi giudicando che per tua virtù e divino adiutorio le predette galere anderanno e torneranno salve, e si compieranno bene tutte quelle cose che desideriamo e ti commetteremo, noi fin d'ora ti facciamo, deputiamo, creiamo, e costituiamo a tenore di queste lettere capitano generale delle quat

117. HORATIUS JUSTINIANUS. Acta Concilii Florentini, in-4. Romæ Typis sacræ Congregationis de propaganda Fide. 1638. pag. 17.

tro galere, e sopra tutti i padroni ed altri ufficiali e gente di capo e di remo deputati o da deputarsi, dando a te autorità e comando sopra tutti e singoli andando e tornando per condurre l'imperadore sopradetto il Patriarca ed i greci secondo il mandato, che a questo fine avranno i due nunzi apostolici che verranno teco, cioè i venerabili fratelli nostri Marco arcivescovo di Tarantasia e Cristoforo vescovo di Cheronèa; e secondo il consiglio e direzione dei venerabili fratelli nostri Pietro di Digne e Antonio di Portogallo vescovi, e Nicolò Cusano prevosto di Conflens oratori del concilio di Basilea che anche per la medesima ragione verranno teco. Di più ti conferiamo la più ampla giurisdizione sopra tutti gli ufficiali, soldati, marinari e remigi così chè tu possi i disubbidienti o in qualunque modo delinquenti secondo giustizia ed arbitrio tuo punire, correggere, esercitare il mero e misto imperio, e fare tutte e singole quelle cose che al pienissimo carico del capitanato generale di diritto o per consuetudine si conoscono appartenere, secondo il modo e forma delle commissioni simili, che dispacciano i nostri diletti figli del senato veneziano ai capitani delle squadre loro che sogliono mandare in Romania. Strettamente ancora comandiamo ai padroni, ufficiali, soldati, marinari e remigi sopraddetti, che a te come a loro signore e capitano generale pienamente obbediscano ed attendano. Procura or tu dunque di adempiere al debito tuo con tale divozione, sollecitudine e diligenza che la tua virtù e probità producano l'effetto da noi desiderato, in guisa che tu, oltre al premio che per questo meriterai dal signore Iddio, possi anche la più ampla grazia nostra e della sede apostolica meritare. Dato a dì sei luglio 1437 ».

Con questi ordinamenti Antonio condusse a Costantinopoli le galere, ove dopo aver disbarcato i balestrieri pontifici ricevette al suo bordo l' imperadore, il fratello di lui Demetrio Porfirogenito principe della Morea, il patriarca Gioseffo, ed una grande moltitudine di prelati delle varie nazioni d'oriente, i legati dei patriarchi di Gerusalemme, d'Alessandria e d'Antiochia, gli oratori dell'imperador di Trebisonda, e dei popoli iberi, russi e vallacchi, insieme ai quali sciolse le vele il dì ventisette novembre, e dopo lunga navigazione nel cuor dell'in

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