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- 1177-1187.

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LIR. II. CAP. XVIII.

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la confusione di tanti uomini diversi per costumi, opposti negli interessi, contrari nei partiti, la moltiplicità dei governi, lo smembramento delle forze presagivano che il regno di Gerusalemme sarebbe stato desolato. Molto più che in quel tempo era grandemente cresciuta tra gli arabi la potenza di Saladino, il quale dopo aver con le sue numerose e disciplinate falangi rotto più volte l'esercito dei crociati, finalmente venuto a Gerusalemme dopo l'assedio di pochi giorni l'aveva presa. La capitale di Terrasanta, ch'era stata conquistata gloriosamente da Goffredo a dì quindici luglio 1099 sotto Urbano II, si perdette a dì due ottobre 1187 nel tempo di Urbano III, dopo esser stata in poter dei cristiani per anni ottantotto. Quel disastro fu sentito con grandissima amaritudine in tutta la cristianità; le genti divote nelle contrade di Europa pubblicamente ne piangevano, ed il Pontefice in Roma ne prese tanto cordoglio che comunemente dagli scrittori si dice esser stato causa della sua morte, accaduta ai venti dello stesso mese. Gregorio VIII, che gli fu dato successore con prontissima elezione, spedì lettere e messaggi per la riscossa di Gerusalemme; e tanta volontà ne aveva, che pubblicamente si lasciava intendere volervi mettere esso stesso la persona sua, e menar seco il collegio dei cardinali, affinchè ogni altro il seguisse. Ed acciocchè questa sua intenzione avesse intiero effetto se ne andò a Pisa per riconciliare quella città con i genovesi, e preparare un armamento grandissimo, che non potè veder nè anche cominciato perchè mentre egli cercava sopir le discordie sempre rinascenti, prima che facesse il secondo mese del papato, morissi. Colà dopo due giorni, cioè ai diecinove decembre 1187 ebbe le chiavi di santa Chiesa Clemente III romano, chiamato innanzi Paolo degli Scolari cardinale e vescovo Prenestino, cui fu dato non solo comporre la pace dei genovesi coi pisani, ma ancora quella d'Inghilterra e di Francia, di Venezia e d'Ungherìa, sopir le questioni che ritornavano tra l'imperio e il sacerdozio, in somma ridurre tutti principi e popoli a concordia tra loro ed al soccorso di Terrasanta. Tanto erano rimasti sbalorditi e compunti i sovrani per la perdita di Gerusalemme, e per la chiamata di Clemente III, che quello stesso imperador Federigo Barbarossa già tanto nimichevole alla Chiesa, pigliò la croce con i principi di Germania, la prese Fi

lippo re di Francia con Riccardo re d'Inghilterra; ed allo stesso passaggio si votarono i pisani, i genovesi, i veneti ed i romani, approntando ciascuno a tutto suo potere fanti, cavalli e galere per la terza crociata, dalla quale gli uomini si aspettavano effetti maravigliosi, come pareva che dovesse succedere quando concorrevano insieme tutti i maggiori principi e nazioni d'Europa.

1188..

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Nello Stato ecclesiastico si crociò tra i primi Gherardo arcivescovo di Ravenna, il quale fece gran levata di milizie in tutta la Romagna, specialmente in Faenza 72; e poi andossene a Firenze, e predicò il passaggio a san Donato tra le torri al di là di Rifredi, e vi furono molte buone persone fiorentine che si unirono a lui 78; talchè divenuto assai potente e benemerito ebbe dal Pontefice il carico della legazione apostolica non solo a predicar la crociata, ma anche a presiedere nelle parti oltremarine. Per la qual cosa Gherardo venne a Roma e dopo aver prese le istruzioni di papa Clemente e le milizie della città, si rivolse ad Ancona, ove il grosso dei crociati lo attendeva per imbarcarsi quivi sopra alle navi apparecchiate non solo dalla predetta città, ma anche da Rimini e da Fano 7. E fu tanto sollecito il suo procedimento che tra tutte le altre nazioni fece arrivare gl'italiani per primi a portar il soccorso in Terrasanta 75. L'abate Urspergense a questo proposito com

72. Gaufridus VINISAUFE. Iter Hyerosolimit. in-fol. Oxoniæ 1687. pag. 271.
HIERONYMUS DE RUBEIS. Histor. Raven. in-fol. Venetiis 1589. p. 359.
GIULIO CESARE TONDUZZI. Storia di Faenza, in-fol. Faenza 1675. p. 228.
SICARDUS. Chron. S. R. I. T. VII. p. 606.

73. RICORDANO MALASPINA. Firenze, Giunti, 1598. Cap. LXXXIII. p. 79.
GIOVANNI VILLANI. Cronaca. Lib. V. Cap. XIII. e xv.

S. ANTONINUS. Hist. Part. II. Tit. xvII. Cap. ix. §. 24.

RAYNALDUS. Ann. 1188. n. 1. 2.

UGHELLUS. Ital. sacr. Ravenn. Tom. II. pag. 373. in-fol. Venetiis 1717.
M. ANTONIUS SABELLICUS. Hist. Venet. in-4. Venezia 1718. p. 169.

74. AMIANI. Stor. di Fano cit. Tom. I. p. 159.

COMPAGNONI. La Regia Picena in-fol. Macerata 1661. Tom. I. pag. 74.
75. Bosio citat. T. I. p. 389.

MURATORI. Ann. 1188. in med.

MICHAUD. Storia delle Crociate. Traduzione dal francese, in-8. Firenze 1842. Tom. I. p. 493.

menda la prontezza ed i meriti dei crociati italiani con le se guenti parole 76: « A vendicar le ingiurie fatte dagl' infedeli al sepolcro di Cristo vennero prima di tutti gl'italiani, uomini bellicosi, discreti, modesti, temperanti, non sparnacciatori nè gretti, e soli intra tutte le altre nazioni che si governano per la sanzione delle leggi scritte ». L'altro contemporaneo Bernardo Tesaurario ripete l'elogio con le medesime parole, e Romualdo Salernitano dell' alta Italia e della centrale dice, «Che fornisce uomini nell'una e nell' altra milizia sommamente addestrati e valenti; imperciocchè nelle battaglie grande è la loro prodezza, ed altrettanto grande la eloquenza nei parlamenti popolari 77 ».

Gl'italiani pertanto, e tra essi quelli che abbiamo nominati dello Stato ecclesiastico, come furono in Soria, non solo ravvivarono il coraggio dei crociati, ch'era in quelle parti già per le precedenti sconfitte abbattuto, ma presero l'offensiva, costrinsero i nemici a sciogliere l'assedio di Tiro, e tanto li sgomentarono, che Saladino, prevedendo anche la piena degli altri popoli che dovevano venire appresso, si dispose con il consiglio degli amici suoi a più lontana ritirata. I nostri cavalieri, secondo l'espressione d'uno storico arabo, coperti delle loro lunghe corazze a scaglie di ferro sembravano da lontano serpenti che ingombrassero la pianura, e quando correvano alle armi uccelli di rapina che si rivolgessero a ghermir la preda, e nel combattimento indomabili leoni cui nulla potesse sgomentare o resistere.

Guido di Lusignano re di Gerusalemme liberato poc'anzi dalla cattività, dopo aver rifornito la piazza di Tiro, trovandosi avere un bello e fiorito esercito alla campagna, composto di crociati veterani e delle genti condotte da Gherardo, prese il partito di assediar Tolemaida; ed i soldati sin dal primo giorno, senza cavar la trincera nè preparar le macchine, difesi soltanto dagli scudi, dettero un assalto così feroce, che la città sarebbe caduta in poter loro se non si fosse udita una voce bugiarda

76. ABBAS URSPERGENSIS. Chron. Argentorati, in-fol. 1609. p. 221.

77. BERNARDUS THESAURARIUS. S. R. 1. Tom. VII. p. 806.

ROMUALDUS SALERNITANUS. Chr. S. R. I. Tom. VII. p. 220.

che Saladino giugnesse alle spalle 78. Delusi dal falso allarme si ritirarono allora dalle muraglie, ma non lasciarono mai più l'assedio anzi per due anni continui quivi sempre si mantennero con grande animo e infinita varietà di successi, combattendo ora contro il presidio della piazza, ora contro l'esercito del soccorso, nella speranza che i maggiori principi d'occidente giugnessero in tempo a compiere la difficile impresa.

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E tanto più confidavano nei soccorsi, quanto che l'imperador di Germania aveva pocanzi spacciato in Sorìa con un manifesto il conte Arrigo di Dedi araldo d'armi per intimare a Saladino la restituzione di Gerusalemme e di tutto il regno, minacciando altrimenti di voler punire qualunque rifiuto coll'artiglio dell'aquila sua trionfatrice, al cui vindice procedimento concorrevano i molti suoi sudditi ed alleati, specialmente i valorosi marini d'Ancona, di Venezia e di Pisa 79. Nondimeno la grand' aquila non aprì le ali se non alla primavera del 1189, allorchè il vessillo grifagno si tirò verso Costantinopoli ottantamila fanti e dodici mila cavalli, che per tutto l'anno, mentre i nostri stavano a fronte del nemico combattendo ed aspettando, non poterono uscir dai confini d'Europa, malamente ritenuti dalle aperte violenze e dai secreti tranelli della corte bizantina.

1190.

Alla buona stagione poi dell' anno seguente Federigo traghettò l'esercito in Asia, corse le terre dei turchi, si aprì la strada col ferro, scese in Armenia, e colà del mese di giugno entrato a bagnarsi nelle acqne freschissime del fiume Salef, sia per il freddo o per altro qualunque accidente annegato morissi, e l'esercito suo ne andò quasi tutto disperso come le pecore senza il pastore.

78. GAUFRIDUS VINISAUFE. Iter Hierosolym. ext. inter. RER. ANGL. SCRIPT. in fol. Oxoniæ 1687. p. 267. Lib. I. Cap. xxvII.

79. ROGERUS DE HOVEDEN seu HOVEDENUS. Annales ext. int. RER. ANGL. Script. in-fol. Francofurti 1601. p. 650.

MURATORI. Ann. 1188. post med.

COMPAGNONI. Regia Picena cit. p. 74.

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Intanto proseguivano i primi crociati a stringere l'assedio di Tolemaida, appresso alla quale avevano cavato una trincera che la chiudeva tutta intorno incominciando al mare da borea insino ad austro sul mare; di più si erano chiusi con un altro fosso egualmente fortificato contro terra per difendersi dall' esercito di Saladino; così chè ad un tempo facevano le parti di assediatori e di assediati sopra l'angusta fascia di terreno, donde non potevano uscire se non vincitori o morti. Assaliti alla fronte ed alle spalle non solo validamente sostenevano l'urto come le montagne, dicono i cronisti orientali, che non si possono nè spianare nè spingere addietro, ma più volte in campagna aperta appiccavano la battaglia, e propulsavano a diritta ed a sinistra il nemico. Poi ebbero a patir la fame perchè le provvigioni dell'Europa per la contrarietà dei tempi non venivano; e la fame ingenerò corruzione tanta nei corpi che diecimila di puro stento ne morirono. Tuttavia duravano aspettando sempre quei soccorsi che già da due anni o si erano dissipati appresso alla morte di Federigo, o non sovvenivano ancora dalla Francia lontana e dall' ultima Inghilterra. Un giorno non potendo più reggere, straziati dalla fame, si levarono insieme, e senza avviso dei capitani, a guisa di lupi famelici urlando assaltarono l'alloggiamento mussulmano. E tale fu l'impeto disperato che gli stessi saracini n' ebbero spavento, e si fuggirono lasciando tutto quel che avevano nel campo. Non oro, non ricchezze, non armi, ma il pane e le vivande abbottinarono, smozzicarono, fecero fardello; quando ecco sopravvenir fulminando i nemici che ripreso animo piombano retrorso agli aggravati; ecco l'arcivescovo di Ravenna, quel di Faenza, e gli altri prelati e Baroni con l'elmo in capo e la lancia in pugno a proteggere la ritirata dei cristiani; e sopra il campo ove nel giorno innanzi si erano veduti più che centomila guerrieri agitarsi in battaglia, altro più dopo non si scorgeva muovere che uccelli di rapina e bestie feroci, che da lungi odorata la strage concorrevano al pasto della vittoria. I crociati ripensando alla seconda parte della giornata non osavano più uscire dalle loro trincere, e Saladino quantunque vincitore dolorosamente ricordava la prima sconfitta e lo spoglio della stessa sua

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