quì chiaro come luce di mezzodì che i pisani si gloriano di aver rubato e distrutto le sostanze nostre, senza esser provocati, sotto pretesto di servir Federigo e l' antipapa e poi insultano i romani, li confondono coi saracini, e raddoppiano almeno con le parole il danneggiamento di Civitavecchia. Ma da tutto cotesto garbuglio coperto di vergogna per chi fece ingiustizia non per chi la sostenne, si fa manifesta la gelosìa dei pisani contro la marina romana e lo studio loro per opprimerla, imperciocchè niun' altra causa poteva a tanto eccesso averli condotti. Il fuoco delle antiche rancure municipali io vorrei spento e non rattizzato, ma non per questo dovrò tacer la verità, nè lodare le avanìe, nè cacciar sempre i romani dalla banda del danno, sembrandomi che ne abbiano ricevuto abbastanza ora per violenza ed ora per frode, nell'adriatico e nel mediterraneo, dal tempo rimoto sin quasi allo scorso secolo, quando Ludovico Muratori imparziale giudice e solenne maestro ebbe a deplorare il discapito dello stato romano, e del commercio in Civitavecchia per le tante ruote secrete che seppe muovere qualcuno dei vicini 47. Io per debito di storico tocco il doloso secretume, perchè sarebbe stoltezza e tradimento tacerlo o negarlo; mentre nel secondo caso si darebbe favore ai nimici e nel primo si toglierebbe il rimedio, comechè il male tanto più si cura quanto meglio si conosce: quindi paleso francamente siffatti disordini, e penso che nel tempo a venire più facilmente accadrà o che gli uni li dimettano, o che gli altri non li comportino. Ma ritornando all'arcivescovo Rinaldo dirò, che appena ebbe assicurata la rocca di Civitavecchia prese a marciare col resto dell'esercito suo inverso Roma, e trapassando fuor fuori se ne andò presso al Tuscolo, che in oggi diciamo Frascati. Era questa nel duodecimo secolo una città ricca, potente, emula di Roma, terem et usque Terracinam mulla saracenorum ligna cœperunt, habebant enim cum imperatore Federico romani tunc guerram ». p. 179. linea 28-35. 47. LUDOVICO MURATORI. Annali d'Italia. an. 1700, presso al fine. principio. 1696, in JEAN BAPTISTE LABAT. Voyage en Espagne et en Italie. in-12. Amsterdam 1731. T. IV. p. 153. MERCURE Historique et Politique in-12. A la Haye. T. XIII. p. 243. 467. 483. T. XIX. p. 488, e 491. e l'una seguiva la parte imperiale appunto perchè l'altra si teneva pel Papa. Avevano più volte guerreggiato insieme, ed allora stavano i romani con un esercito di quarantamila persone accampati all'assedio del Tuscolo. Per la qual cosa il cancelliero disegnò dare ajutamento ai suoi partigiani, e poichè gli erano in quei giorni arrivati nuovi soccorsi di gente condotta dall'arcivescovo di Magonza cancelliero di Germania, si fece avanti e prese i romani alle spalle mentre i tuscolani erano di fronte così che non potendo sfuggir la battaglia finalmente ai ventinove maggio 1167 si venne tra le parti al fatto d'arme, nel quale i romani restarono con grandissima perdita talmente sconfitti, che dopo la battaglia di Canne non si ricordava mai più strage sì grande di popolo romano. Se invece di rivolgersi a vendetta contro il Tuscolo fossero i quarantamila andati alla riscossa di Civitavecchia, le cose di guerra sarebbero assai probabilmente finite in modo diverso. XIV. Dall' altra parte l'imperador Federigo con l' esercito suo partitosi da Lodi agli undici di gennaio batteva la strada dell' adriatico per venire a Roma e dopo aver nel bolognese fatta vendetta di certe ingiurie che aveva ricevute, e dopo esser trapassato per Imola, Faenza e Forlì cavando da ogni luogo pecunia ed ostaggi, finalmente ai primi di luglio pervenne in Ancona. Anche la nobile città capitale della Marca, e del mar superiore teneva per la parte del Papa, ed al paro di Civitavecchia prese le armi e chiuse le porte sul viso all' invasore. Ma Ancona ebbe a suo vantaggio circostanze migliori di Civitavecchia, perchè Venezia non si mosse contro di lei, e l'imperador dei greci la proteggeva: laonde gli anconetani avendo il mare aperto, senza timore di restare affamati, e con molta fiducia nei soccorsi altrui e nella virtù propria tennero saldo, e combatterono valorosamente molti giorni, sinchè Federigo dopo aver ricevute al suo campo notizie non liete di Lombardia e di Roma per non rimetterci d'onore scese ai trattati con loro e si compose per alquanto danaro e quindici ostaggi 48. Sciolto da questo impedimento prese il cammino verso Roma, ove lo chia 48. MURATORI. Annali 1167. in princ. et med. PERUZZI Cit. Lib. VIII. Tom. I. p. 301. LEONI. cit. p. 137. mava con le lacrime ipocrite il suo idolo d'abominazione Guidone da Crema antipapa di Viterbo, sospiroso d'esser menato per violenza alle glorie del Vaticano. L'imperadore comparve sulle alture di Montemario il dì ventiquattro luglio, attaccò il borgo, combattè ferocemente una settimana, sempre ributtato con altrettanta bravura dalle milizie di san Pietro, ch' erano i soldati raccolti dalle terre patrimoniali della Chiesa romana : riuscì finalmente ai teutonici di appiccare il fuoco ad una torre presso il Vaticano, poco mancò non bruciasse la gran basilica, ed appunto per riverenza al santuario i romani pattuirono con Federigo di lasciargli il borgo, e ritirarsi di quà dal fiume. L'antipapa allora venne a Roma e fece sue baldorie al Vaticano, Federigo manipolava tra la plebe e seminava zizzania, Alessandro li codiava ambedue dal Laterano, e provvedeva all'avvenire il popolo sollecitato dalla coscienza, dall' onore, dal Papa, dall' imperadore, dall' antipapa, dalla pecunia, dai soldati, dall'incendio, si gittava chỉ quà e chi là. Creta fragile, che nell'urto delle passioni facilmente si spezza. Il pericolo diveniva ogni dì maggiore pe 'l Papa; nondimeno ricusava allontanarsi da Roma, e persino licenziava alcune galere mandate in ajuto dal re di Sicilia: soltanto a cautela pigliava alloggio più sicuro nelle case dei Frangipani al Colosseo, ove gli facevano puntello i più nobili dei romani, specialmente le casate dei Corsi e dei Pierleoni. Finalmente Federigo gittò il pomo della discordia: propose che dovessero ambedue i concorrenti rinunciare al papato, se ne elegesse un terzo di comune piacimento, e finisse lo scisma nella Chiesa di Dio. Grande astuzia di Federigo! Se Alessandro rifiutava il partito, scemava di credito come ambizioso e nemico della pubblica pace; e se egli lo accettava si sarebbe allora fatta l'elezione a suo talento d'un Papa imperiale: in ogni caso deprimeva l'altrui potenza e sollevava la propria. Papa Alessandro altrettanto diritto che l'avversario sciolse il nodo sparì improvvisamente dagli occhi di tutti, così che non fu più ritrovato in Roma; e dopo tre giorni alcuni pastori lo videro con pochi seguaci a desinare presso monte Circèo sul margine d'una fontana, che da quel tempo ebbe nome fon tana papale 49. La maggior parte degli antichi scrittori tace il modo di questa fuga: ma la cronaca di Fossanova spiega l'arcano dicendo a favor di corrente sul fiume Tevere uscì da Roma e se ne andò a Benevento 50. Vale a dire, ch'esso celatamente s'imbarcò sul Tevere e guidato dai suoi fedeli marini navigò al Circèo ed a Gaeta, donde poi cavalcando si ridusse a Benevento. Segno che la marinerìa dello stato riusciva facilmente a buon termine. In Roma poi com' ebbe l'imperadore conosciuto quello che pel Tevere si poteva, divisò occupare i passi del fiume, e sebben tardi si movesse per attrappare Alessandro già condotto a salvamento, pure arrivò in tempo a stringere maggiormente i romani a fine di ridurli al piacer suo e per ciò si rivolse alla carissima sua città di Pisa, che si era dåta intieramente a servirlo massime contro i romani. Avevano i pisani pocanzi armate cinquanta galere e trentacinque saettie per combattere i genovesi, ma giunto appena l'invito imperiale lasciarono in pace quella e rivolsero il pensiero a questa più cara parte, ove spedirono l'armata con i due consoli Teperto Duodi e Bulgarino Anfossi ed insieme un gran numero di nobili pisani, i quali entrarono per la foce del Tevere e con le galere ci navigarono sino a Roma. Fa orrore il leggere nella storia pisana descritto quasi a vanto il danno inestimabile che coloro fecero in terra di Roma, l'abbruciamento delle ville e delle case e per sino delle chiese, e tante altre vendette di barbarica ostilità praticate contro i romani che nullamente li avevano provocati, che anzi difendevano la giustizia, la patria e la pietà contro l'usurpazione, lo scisma e lo straniero 51. I pisani del mio tempo e dell'avvenire renderanno giustizia ai romani. 49, CARD. DE ARAGONIA in Vita Alex. S. R. I. Tom. III. Parte I. p. 459. SIRE RAUL. S. R. I. Tom. VI. ACERBUS MORENA. ibid. OTTO A SANCTO BLASIO. ibid. 50. CHRONICON FOSSENOVE. S. R. I. Tom. VII. p. 873. exivil de Roma, et ivit Beneventum ». STEFANO BORGIA. Memorie di Benevento. Vol. III. in-4. Roma 1764. 54. RONCIONI. cit. p. 353. MARANGONE. cit. p. 49. CHRONIC. VAR. PISAN. cit. p. 180. Qual maraviglia pertanto che il popolo in tanti modi straziato calasse in fine agli accordi con Federigo e si lasciasse mettere il giogo sul collo ? Ma udite il modo ed ammirate costanza e fede di uomini fortissimi. Federigo pigliò da Roma quattrocento ostaggi, riordinò la città a suo talento, dette le armi ai partigiani, elesse cinquanta senatori suoi devoti, e pur questi soprusi non bastarono ad altro che a provar la violenza onde si tenevano i romani sottomessi nel politico reggimento; imperciocchè quanto a scisma e ad antipapa non consentirono giammai di riceverlo nè riconoscerlo. Giovanni Sorisberiense in una lettera ch'è tra quelle di san Tommaso di Cantorberì narra che i romani stettero saldi nell' ubbidienza di papa Alessandro terzo il giuramento dei romani riportato nella cronaca di Gottifredo monaco non parla verbo o sillaba dell' antipapa ed il Marangone di Pisa scrive che i romani fraudolenter et dolose juravere. Cioè che agli scismatici non era piaciuto quel giuramento; segno evidente che non fosse scismatico 52. Dopo questi avvenimenti sempre memorabili apparve anche un segno dell' ira celeste contro quelle genti vendute che avevano tormentato i romani. Per giudizio di Dio, e non per influenza di malaria che non mette a morte le genti da sera a mattina, si propagò nell' esercito imperiale una verace pestilenza e fierissimo contaggio, onde trapassavano gli uomini a centinaja per ogni giorno: e non solamente di popolo minuto e soldati gregali, ma anche di principi e signori i più ridottabili del campo. La mattina si levavano sani e la sera si colcavano nel sonno eterno, e non avevano chi li seppellisse per la moltitudine. Vi perì tra i primi quel Rinaldo arcivescovo e cancelliero che aveva fatto l'assedio di Civitavecchia e data la percossa ai romani sotto al Tuscolo, morì Federigo duca di Svevia cugino dell'imperadore, e seco lui i vescovi di Liegi, di Spira, di Ratisbona, di Verden, il duca Guelfo di Baviera, ed altre molte persone di conto nobili, vescovi, abati, baroni, 52. S. THOME CANTAURIENSIS et aliorum epistolæ, editæ a Christiano Lupo. Vol. II. in-4. Bruxell. 1682. GODEFRIDI MONACI S. PANTALEONIS CHRONICON. ap. FREHERUM. Scriptor. German. in-fol. Francofurti 1624. T. I. p. 242. MARANGONIS. Chronic. cit. T. VI. Parte II. pag. 49. linea 2-3. |