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Le quali profferte del re e dei vescovi furono tanto gradite ad Alessandro che di presente accettolle, e senza indugio frapporre partì con tutto il convoglio da Messina e giunse felicemente ad Ostia il giorno di santa Cecilia ch'è ai ventidue di Novembre. Quivi passò la notte tra gli applausi degli ostiensi, e la mattina seguente rimontato sopra le istesse galere con tutti i cardinali e famigliari venne su pe 'l tevere a sbarcare a san Paolo, come narra Romualdo Salernitano che fu presente a questi fatti. Da Roma poi uscirono per incontrarlo i senatori della città, i grandi e la plebe, il clero ed il popolo, che a gara lo festeggiavano offerendo a lui l'obbedienza e l'omaggio come a pastore ed a principe dell' anima loro. Di là cavalcando lo scortarono alla basilica Lateranense con rami d'ulivo tra le mani e sempre per la via cantando inni di lode al Signore, e dimenando tanta festa che da molto tempo non si era mai nè veduta nè udita maggiore per alcun altro Pontefice.

- 1167.

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XIII. Mentre queste cose accadevano in Roma, ed Alessandro papa terzo risiedeva nella catedra di san Pietro come vicario di Cristo, Guido da Crema chiamato antipapa Pasquale e tutti i suoi complici si conturbarono fuormisura: costoro ristretti a Viterbo stimolavano Federigo che venisse a liberarli da tanta vergogna e pericolo; e lo 'mperadore fremente contro la lega lombarda non aveva bisogno di sprone per calare in Italia e sottomettere lombardi, Papa e Chiesa al suo dispotismo. Gran peccato che quell' anima grande fuorviasse a fine detestabile per mezzi obliqui ed ingiusti; eccolo che si accigne a soggiogar tutta l'Italia all' obbedienza sua e del falso pontefice Pasquale: ecco la guerra, gl'incendi, le stragi, e le rapine per ridurre gli uomini credenti all'antipapa. Entrato l'esercito imperiale dalla Valcamonica in Lombardìa si divise in due corpi, che l' uno marciando per la Emilia ed il Piceno, e l'altro per la Lunigiana e la Etruria dovevano poi unirsi insieme sotto le mura di Roma. Primo ministro dell'impresa guidava l'ala diritta verso il mediterraneo un cotal Rinaldo, cancelliero del regno d'Italia, e vescovo di Colonia. Costui venne in Toscana e quasi tutta la ridusse al segno dello scisma; rivoltò Pisa, e fece che i magi

strati della città giurassero obbedienza all' imperadore ed al falso Pasquale; così che contrapponendosi a queste cose l'arcivescovo Villano, e' dovette ritirarsi, e gli scismatici in suo luogo nominarono un antivescovo, che fu poi consecrato per le mani dell'antipapa in Lucca, cui invece di chiamarlo col suo nome di famiglia Benincasa, molti lo denominavano Malincasa. La qual confusione di persone, di nomi, e di titoli manifesta quanto grande fosse il disordine delle sacre ed umane cose per quei tempi.

Il cancelliero poscia con quell' esercito che aveva già ridotto al suo volere tutta la Toscana marciò versa Roma, e senza attendere a Viterbo che già si teneva per la parte di Pasquale, venne a campo sotto Civitavecchia guidando seco oltre al grosso corpo dell' armata tedesca, numerose bande di milizie cavate dalle città italiane che seguivano la fortuna di Federigo.

Civitavecchia era devota al legittimo Pontefice; ed essendo stata sempre città forte, come anche in quei tempi ben munita per salde muraglie e per un fortissimo castello, del quale rimangono ancora grandiosi vestigi di durissimi macigni presso alla bocca della darsena, colà ove tuttavia si vede la torre e tuttora rimane il nome della rocca, e di più trovandosi popolata di uomini generosi, atti all'arme, sperimentati nel mestiero del mare, spregiatori dei pericoli e amanti di giustizia, chiusero le porte in sul viso al cancelliero e si prepararono con grande animo alla difesa della religione e della patria. Molto più che da Roma erano andati a Civitavecchia alcuni romani dei principali sostenitori del pontefice Alessandro, tra i quali primeggiava un prode uomo chiamato Pietro Leoni 11, che per le ricchezze, pe 'l seguito e per la famiglia numerosa di molti figliuoli e fratelli, aveva grandissima autorità e possanza. Dell' assedio memorabile che Civitavecchia sostenne contro l'esercito imperiale parla il Muratori negli annali con molta brevità secondo suo stile, ed i cinque autori delle memorie municipali civitavecchiesi ci passano sopra tanto leggermente che neanche con una parola lo toccano, mentre poi questo è fatto degnissimo di esser in ogni

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41. Gli scrittori diversamente segnano il nome di questo Pietro, Latone, Lato, Leone, Latrone, Labone e Labo.

sua parte rilevato non tanto come elemento di storia patria, quanto più come chiave che dicifera i misteri dello Stato nostro rispetto alle cose di mare, vale a dire i danni patiti dalla marina pontificia per la gelosìa dei vicini. Niuno si turbi leggendo queste nostre parole, perchè non sono già fantasie avventate, ma fatti che tra poco verranno confessati da quelli stessi che avrebbero dovuto per onor proprio tacerli 42.

L'esercito imperiale per tanto venne ad oste sotto Civitavecchia, e si accampò sulle colline che girano attorno alla città chiudendola in un semicerchio di trincera, che dal mare partendo presso le alture della fiumara inverso ponente veniva poi a serrarsi sul mare verso levante sopra quella punta che i nativi del paese chiamano del Pecoraro. Riuscite inutili le minacce degli inimici per la costanza onde quelli di dentro tenevano il proposito, cominciarono le percosse dei mangani e degli altri strumenti che allora si usavano per rovesciare le muraglie e pigliar le fortezze; dopo le quali il cancelliero dette due ferocissimi assalti alla terra e non la potè pigliare, anzi vi lasciò molti dei suoi, comechè i terrazzani si difendevano molto bravamente. Si era imaginato l'arcivescovo che alla sua giunta si dovessero gli abitatori intimorire ed arrendere senza tentar la fortuna delle armi: ma egli si trovò di gran lunga ingannato e come quello che gli pareva di metterci della sua riputazione, e che a non pigliarla scemasse in certo modo la dignità dell' imperio romano, disegnò di quivi non partirsi sino a tanto che non si fosse la città messa nelle sue mani. Quindi dopo aver lungamente adoperato ogni mezzo per la espugnazione della piazza, e fatta inutilmente ogni prova di guerra, si persuase che non sarebbe venuto giammai a capo dell'impresa senza l'ajuto di un'armata navale imperocchè le mura stavano salde e i difensori intrepidi, anzi ogni giorno più crescevano di ardire, e già avevano dato saggio di quello che potevano, e per fame non paventavano avendo il mare aperto, onde i bastimenti civitavecchiesi

42. BERNARDI MARANGONI. Vetus Chronicon Pisan. ex Mss. Codice Parisiensi. Arch. St. It. T. VI. Parte II. pag. 45. a 48.

RAFFAELLO RONCIONI. Istoria Pisana. ibid. Tom. VI. Parte I. p. 348-352.
CHRONICON VAR. PISAN. ap. MURAT. S. R. I. Tom. VI. p. 179.
CRONACA DELL'ARSENALE. Ann. 1167.

uscivano ed entravano tirando nel porto rinfreschi continui da Roma, dalla campagna e persino dal regno. Perciò volendo stringere la città da ogni lato mandò suoi oratori a Pisa pregando quel comune, che per amor suo dovesse piacergli di spedire a Civitavecchia l'armata navale, affinchè dasse favore all'assedio e coloro, che nulla più desideravano quanto esser soli a navigare a dispetto dei genovesi e di ogni altra città marittima, colsero il destro per dare una buona spelazzata alla marina di Civitavecchia e ne affidarono il carico all'istesso console della loro città ch'era Guidone Mercati. Egli menò seco venticinque galere, ne fece venire altre dappoi così ch' ebbe insieme quarantasette navi rostrate di prim'ordine a stringere il porto 4.

Quando si seppe in Civitavecchia che l'armata dei pisani sarebbe venuta a grande stuolo e con molto ostile animo contro la città, i magistrati stimarono conveniente di mandar fuori dal porto i navigli che avevano, affinchè ne andassero altrove a ripararsi, anzichè tenerli a certa perdizione ed in balìa di nemici troppo potenti e gelosi, che venivano appunto per distruggerli. Prevedevano che avrebbero dovuto soccombere alla ostinazione ed alla potenza degl' imperiali congiunti co' pisani: nondimeno anche dopo che si trovarono malamente racchiusi e bersagliati in ogni parte per terra e per mare continuarono la difesa quanto più lungo tempo poterono, sinchè mancando la vettovaglia, e insieme anche la speranza dei soccorsi che non potevano riceverne da Roma turbata dalle fazioni ed in guerra coi Tuscolani, nè da Viterbo tenuta dall' antipapa, nè dalle altre città vicine ridotte scismatiche ed ostili, deliberarono di trattar la resa. E quantunque il cancelliero avesse in animo di maltrattar la terra e fare ogni sorta di strazio al Pier Leoni ed ai quaranta, tuttavia per onore della bella difesa perdonò a tutti, e di più promise agli abitanti di Civitavecchia sicurtà nelle persone e nelle sustanzie, e li ricevette a suggezione dell'imperio, senza obbligo di seguir per coscienza le leggi dell' antipapa. Onorevole capitolazione la quale come non fu nè la prima nè l'ultima conseguita da quella città, così anche manifesta che

48. CHRONICON VAR. PISAN. ap. MURAT. S. R. 1. Tom. VI. p. 179. linea 28-35. RONCIONI e MARANGONE ut sup.

non manca mai qualche vantaggio ai valorosi che sanno procacciarselo.

Venghiamo ora ai pisani che non restarono paghi della violenza, ma più oltre procedendo con quelle loro quarantasette galere sotto colore di dar la caccia ai saracini, che per quei tempi niuna cosa meno pensavano quanto di venire a cercare o portar guai nel mar Tirreno, si dettero a correre la spiaggia romana perseguitando quei legni civitavecchiesi che si erano trafugati; e non avendo trovato i saracini, perchè non c'erano, fecero ogni loro possanza per distruggere ed abbruciare quante navi poterono, non solo di Civitavecchia, ma anche d'Ostia, d'Astura, di Roma, e di Terracina. È mio debito produrre in questo luogo le testimonianze degli stessi pisani, e comincerò dal Roncioni, che dice così: « L'armata pisana voltandosi poi verso Terracina, tutta quella marina infestò pigliando ed abbruciando di molte navi romane: e le altre galere per tutto fecero grandissimo danno, perocchè quelle che andarono ai danni dei romani pigliarono molte navi di essi, e navigarono per fino ad Astura». Il Marangone poi sottentra menando più vanto in questi termini: « Navigarono le galere pisane sino ad Astura, e moltissime navi dei romani con molto danaro presero, e così cariche d'onore e d'avere se ne tornarono a Pisa. Dappoi per tutta la spiaggia romana sino a Terracina gettarono al fondo molte navi e sostanze dei romani e così se ne ritornarono a Pisa 45». La cronaca antica finalmente rimescola le cose nel modo seguente: «similmente nello stesso anno 1167 i pisani mandarono galere quarantasette contro i saracini, ma non avendoli scontrati ne andarono contro Civitavecchia e sino a Terracina predarono molti bastimenti di saracini; imperciocchè i romani allora stavano in guerra con Federigo imperadore 46.

« Ecco

44. RONCIONI. cit. p. 347. linea 13-15.- E pag. 349. linea 7-9. 45. BERNARDI MARANGONIS. Chronicon cit. « Navigarunt galeæ pisanorum usque Asturam et quam plures naves romanorum cum multo ære cœperunt et sic cum honore et habere Pisas rediere . . Postea per totam marittimam romanorum usque ad Terram Cinam multas romanorum naves et habere perdiderunt, et sic Pisas re. diere ». p. 44. linea 37-39. et p. 45. linea 38-39. et p. 46. linea 2-4.

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46. CHRONICON VAR. PISAN. cit. « Item eodem anno 1167. Pisani XLVII galeas miserunt contra saracenos, sed non invenientes eos iverunt contra Civitatem Ve

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