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fredo n' ebbe a pieni voti dai suoi colleghi la signoria. Il nuovo re uscì in campo, vinse la famosa battaglia d' Ascalona sopra gli Egiziani, mantenne le conquiste, governò da padre più che da principe, e dopo un solo anno di regno morissi lasciando la corona a Baldovino suo fratello.

Il reame di Gerusalemme ebbe una costituzione conforme al dritto pubblico di quel secolo. La monarchìa ereditaria, temperata dal parlamento dei nobili, del clero e delle città libere, che si raunava per gli affari più gravi dello stato sotto il nome d'Assise: le provincie smembrate in tanti grandi baronaggi, tra i quali primeggiavano la contea di Tripoli, quella di Edessa, ed il principato d'Antiochia: gli ordini cavallereschi cresciuti a possanza, ed i maestri dello spedale e del tempio divenuti sovrani nella terra di conquista. Tutti insieme poi non avevano altro modo a conservare il dominio se non che far sempre la guerra contro alle innumerevoli schiere dei saracini di Egitto e di Persia, contro ai califfi di Babilonia e del Cairo, contro ai sultani di Aleppo e di Damasco, e contro a tutti i seguaci di Maometto, che da ogni parte li attorniavano frementi di sdegno e preparati a tremende vendette. Per questo occorreva ai latini di tener sempre guardati i confini della monarchia, aver uno esercito pronto a marciare ad ogni parte ove suonasse la tromba degl'invasori, e custodire le città marittime della Siria per aver sempre la strada aperta ai soccorsi d'occidente. I pellegrini da tutta la cristianità a piccole e grandi brigate continuamente trapassavano dall'Europa in Asia a fine di visitare i luoghi santi, e militare per qualche tempo tra le file dei seguaci di Cristo; altri impediti nel passaggio riscattavano il voto per danaro, e così l'Europa sopperiva alle reclute ed agli stipendi necessari onde il regno di Gerusalemme si man

teneva.

IV. Ora poi dal generale movimento di tutta la cristianità discendo a trattare la parte speciale, ch' ebbero in quel passaggio le genti di terra e di mare dello stato pontificio. Tuttavìa prima mi occorre di ricordare, come la temporale possanza dei pontefici si trovasse allora grandemente prostrata per le contenzioni ch'erano insorte vent'anni prima tra il sacerdozio e l'imperio. Gli antipapi e gli scismatici, fomentati dagli impe

radori, mantenevano una guerra desolatrice in tutto lo stato, così che distratti da più propinquo e grave bisogno non poterono i romani con isforzo maggiore concorrere al primo passaggio: anzi furono costretti a trastornar per qualche tempo la marcia dei crociati medesimi oltramontani: imperciocchè quando calarono in Italia i due Roberti di Fiandra e di Normandia nel 1096 bisognò impiegar le armi loro per cacciar dal Vaticano l'antipapa Guiberto di Ravenna, il quale si sottrasse con la fuga; ma le sue masnade ritennero ancor lungamente castello Santangelo a dispetto dei romani, dei Roberti e del Papa.

Nondimeno da Roma istessa e dallo stato ne andarono fanți e cavalieri in gran numero: imperciocchè papa Urbano II, dopo il concilio di Chiaramonte, affrettò appunto il suo ritorno in Roma per animare i propri sudditi a pigliar la croce, e gli scrittori contemporanei ricordano l'efficacia dei suoi divisamenti anche nello stato suo: così che Folco uno degli antichi storici della guerra sacra 5, noverando le città e provincie donde mosse la gioventù guerriera, ricorda coloro che abitavano le rive bagnate dal Tevere e dal Po, i tusci, i sabini, gli umbri, gli aurunci, i volsci, cioè tutte le provincie di questo stato che fornirono buona levata di milizie all'esercito italiano condotto da Tancredi e da Boemondo. Le memorie genealogiche delle nostre famiglie celebri e le storie dei nostri municipì ricordano di quasi tutte le casate e città avventure gloriose per il tempo della guerra sacra. A me basterà ricordarne alcune, e farò principio da Bologna scrivendo, con le parole dello storico suo, che ve ne andò numero grande, tra i quali furono questi, Gilio Passipoveri, Lodovico Ramponi, Ladislao Piatesi, Ludovico Bianchetti, e questi portò lo stendardo di Bologna ove era dipinta la croce rossa in campo bianco, Tartaro Tancarari, Oddo e Filippo fratelli dei Garisendi, Guglielmo Lambertacci,

4. BARONIO. Annali 1095, n. 34.
TARCAGNOTA cit. pag. 449.

5. FULCO. Historia gestorum viæ nostri temporis Hyerosolimitanæ. ap. DuCHESNE Rer. Franc. Tom. IV. pag. 891-892. « Quos Athesis pulcher præterfluil Erydanusque, quos Tyberis, Macra, Crustumiumque, concurrunt. Itali... Tusci pariterque Sabini, Umbri, Lucani, simul atque Sabelli, Aurunci, Volsci, et qui memorantur Etrusci. »

6. CHERUBINO GHIRARDACCI. Storia di Bologna in fol. 1396. Lib. II. p. 58.

Arrighetto e Trigio Novespade, Leone Bonandrea, Alberigo Guidozagni, Ugo Corforati, Federigo Brancucci, Ansaldo Ansaldi, Nanno Terracotti, Vittore ed Andalò Geremei, Arardo Caccianemici, Bernabò Gozzadini, Gerardo Basciacomari, Ottolino Sorgi, Borghesano Plastelli, Rolandino Canedoli, ed Azzolino Vitaliani. Questi navigarono dal Piceno all' Epiro con le navi delle città statiste dell' Adriatico, e poi per terra andarono a Costantinopoli, e furono assai benemeriti nella conquista di Gerusalemme. Di Rimini si ha memoria che passarono molti prodi uomini all'impresa, tra i quali fu Pietro Clementini capitano di mille fanti sotto la condotta di Boemondo principe di Taranto, dal quale conseguì onorevole testimonianza di valore e svegliatezza, segnata da quel gallo che fu a lui posto per man del principe sul cimiero, e che restò poi perpetuo fregio nell'arma della sua nobilissima casata 7. Da Fano si mosse per terrasanta Ugone del Cassaro della nobilissima famiglia Berarda, il quale menò seco due valorosi suoi figli Ugolino e Baldovino alla testa di trecento sceltissimi fanti fanesi, che al ritorno se stessi di molte spoglie e la patria loro di preziose reliquie arricchirono, siccome tuttora si può vedere negli armadi della cattedrale di Fano 8. Girolamo Gabrielli di antichissimo lignaggio e nobiltà in Gubbio, ardito uomo e prode, condusse alla conquista di Gerusalemme mille fanti, scelta e cappata gente della sua provincia 9. La città di Faenza se non contribuì con numero grandissimo, come vuole il Bonoli, tuttavia può gloriarsi di Belligero o Bellisario faentino, che avendo fatto in Soria prove segnalate del suo valore, restò poi in quel regno ampiamente rimunerato delle sue gloriose fatiche 10. Gli spoletini per i distinti servigi prestati nella guerra santa ricevettero dal re Goffredo in dono il lambello ed i gigli d'oro, che adornano anche al presente gli stemmi delle precipue loro famiglie 11.

7. Racconto storico della fondazione di Rimino, e delle vite dei Malatesti. Opera di CESARE CLEMENTINI. Rimino, per il Simbeni 1627. pag. 301.

8. Memorie storiche della città di Fano. Raccolte da PIETRO MARIA AMIANI in fol. Fano 1751. Tomo I. p. 131.

9. SANSOVINO. Origine delle case illustri d'Italia. in-4. Venezia 1582. p. 369. 10. TONDUZZI. Storia di Faenza in fol. Faenza 1673. p. 169.

11. Severi MinerVII Spoletini. De rebus gestis, atque antiquis monumentis Spoleti. L. I. Cap. x.- MSS. inedito presso Monsig. Luigi Pila patrizio spoletino, alla cui gentilezza rimetto chiunque volesse riscontrarne il testo, come a me fu concesso.

Al modo istesso si potrebbe intessere un catalogo ben lungo di nobili città e di celebri uomini, che fecero popolo, empierono le file dei crociati e spalleggiarono le imprese gloriose di Boemondo e di Tancredi: ma questo mi condurrebbe troppo lungi dalla marina alla quale mi conviene discendere a grado a grado per le seguenti considerazioni. I saracini, che avevano prima dell'undecimo secolo occupato tutto il mediterraneo e le maggiori isole insieme con le minori, impedivano la navigazione ad ogni gente nimica. Per questo la marinerìa di Spagna, di Francia e di Grecia era quasi al tutto distrutta: e niun ragionamento potrà manifestar meglio questa verità quanto i fatti della prima crociata. Imperciocchè se i cristiani avessero potuto prevaler di navigli e battere le vie del mare non avrebbero giammai preso il partito di viaggiare quelle miglia sterminate dai confini estremi dell'Europa sino al centro dell' Asia, e trasportarsi sopra le spalle bagagli e salmerìe tra pericoli e disagi per luoghi sconosciuti e barbarici, senza strada e senza quartieri, per mezzo a selve e paludi, esposti all'ira dei nemici ed alla perfidia dei greci, correndo a quasi certa perdizione di fame e sterminio, come di fatto avvenne; ma anzi con molta speditezza, e quasi senza alcun pericolo, sarebbero trapassati in brevissimo tempo e riposatamente sopra le navi ciascuno da casa sua sino alla Palestina. Lasciarono pertanto la via del mare perchè non avevano naviglio sufficiente a navigarlo. Tuttavia da questa general condizione voglionsi eccettuar gl' italiani, che furono gli unici a comparire con navale armata in oriente, e fornirono poscia i bastimenti onerari al sostentamento dei crociati. Boemondo e Tancredi sopra le navi di Roma, di Napoli e di Sicilia passarono dalla Puglia all'Epiro: gli stessi legni tragittarono dalla Marca e dalla Romagna in Morèa le schiere fiamminghe e normanne dei due Roberti, che calarono in Italia per cercare il noleggio. Ma più d'ogni altro il popolo di Genova, di Pisa, d'Amalfi, d'Ancona e di Venezia fecero sforzo sul mare, e prevalendosi di quelle guerre di Terrasanta ne tolsero il dominio ai saracini e cominciarono a salire in alta possanza. Il guadagno delle armate, le vittovaglie che conducevano al campo, i partaggi delle conquiste, il commercio dilatato dalla Grecia all' Asia, all'Egitto, e per questa strada sino alle Indie orientali, fecero, che le marit

time città italiane innanzi nominate divenissero ricchissime e potentissime.

Ancona, che si era più o meno mantenuta nel mestiero del mare, prestò servigi, e trasse profitto dalle crociate. Oltre ai suoi legni mercantili, procaccianti in ogni contrada d'oriente, armò a spese pubbliche per la prima crociata otto vascelli, e di più due galere a spese private della nobilissima famiglia Tommasi. Con quelli navigarono molti nobili e valorosi anconetani condotti dal prode Leopardo Bonarelli, e con queste germani per sangue e per valore impareggiabili Pompeo e Matteo Tommasi 12. Il primo, ch' era degno rampollo del principe Ricciardo di casa reale normanna, donde ebbe principio il ramo glorioso dei Bonarelli d' Ancona, che per altezza di natali e valore nelle armi e nelle lettere si rese quanto altro mai commendevole, rese immortale la sua memoria; e per la liberazione di Terrasanta dopo segnalatissime prove di valore profuse il sangue e la vita 13. Gli altri due ebbero lode ed onoranza grande dal re Goffredo, che volle premiarne la virtù per visibil segno impresso sopra la nobilissima arma della famiglia con il lambello vermiglio a' gigli d'oro ". E ben si resero degni di tale onore i Tommasi d'Ancona, che nel sangue loro per le successive generazioni trasfusero l'istesso valore e devozione per la riscossa della Terrasanta, di sorta che tra i discendenti di quella casa Eugenio III nel 1147 prescelse il condottiero del soccorso pontificio nella persona di Rodolfo Tommasi, il quale rispose degnamente alla fiducia in lui collocata dal Pontefice e dai crociati 15.

- 1118.

V. — Miglior sorte sarebbe toccata al regno di Gerusalemme, e maggior messe di glorie e di fortune avrebbero raccolto

12. PERUZZI. cit. Tom. I. p. 279.

LEONI cit. p. 135.

13. MARCHESI GIORGIO VIVIANO. Galleria dell' onore. in-fol. Forlì 1733. T. I. p. 42. 14. MARCHESI cit. Tom. I. p. 37.

SANSOVINO. Origine delle famiglie illustri d'Italia, in-4. Venezia 1582. p. 32. 15. MARCHESI. Gallería dell' onore Tom. I. p. 37. in fine.

SANSOVINO. Famiglia Tommasi.

MURATORI. Annali 1147. in princ.
BARONIO. Ann. 1145. n. 28. e 30.

SARACINI Cit.

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