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XXII. Per fatti così remoti a me pare averne detto tutto quel più che sia possibile saperne: nondimeno facilmente dal mio desiderio argomento, che molti amerebbero oltre alle notizie generali lasciate dagli antichi cronisti conoscere anche le particolari che mancano, specialmente rispetto a successi cotanto degnissimi d'essere in ogni loro parte narrati e descritti. Il qual difetto si rende a me più molesto nel trattare adesso il passaggio che i cristiani già fecero in Africa a comandamento di papa Vittore terzo nell'anno mille e ottantotto, perchè sento che avrei materia bellissima per il mio libro e sommamente onorevole per la marina romana, se potessi sapere io tutta la verità di quelle cose che distesamente narrare vorrei, allorachè l'armata dei romani, dopo aver propulsato i saracini dal centro d'Italia e poi a diritta e a sinistra dal Garigliano e da Luni, navigò insieme coll'armata dei pisani e dei genovesi in Africa per comprimere i nemici nelle istesse loro città. Ma l'istoria di quell'undecimo secolo è così stretta che quasi più ne lascia arguire che sapere; e gli storici recenti più errori quasi a confutare che notizie ad istruire contengono gli annali di Genova appena accennano con qualche parola tronca a questa impresa, e nè anche ricordano il nome del loro ammiraglio: le cronache pisane al contrario dilatano le fimbrie più per intenebrare che per chiarire la prevalenza loro sopra tutti: gli annalisti pontificî poi sempre immobili innanzi al protagonista dicono, che Vittor terzo papa represse gli africani, senza indicare nè il modo nè i ministri. Quindi è che avrei ben poca cosa a dire se strettamente non mi riportassi alle prime sorgenti che sono Pietro Diacono e Bernoldo Constanziense, i quali comechè imparziali più che ogni altro dicono e più fede meritano; tanto più che si trovano concordi tra loro, e mirabilmente commentati da un antico verseggiatore, che allora appunto ebbe scritto sopra questo subbietto un poemetto religioso e guerriero, quando i vincitori intrecciavano in su la fronte gli allori della vittoria, e che fu recentemente pubblicato per le stampe quando io intendevo a rinverdirli con la seguente narrazione.

Era in Africa un re di mori, che aveva nome Timino, e dominava sopra due grandi e ricche città poste alla marina di Tunisi, chiamate Susa ed Afrodisio. Il nome di cotesti due luoghi, trascritto corrottamente dagli amanuensi, come è usanza loro

perpetua quando copiano voci forestiere, ha ingenerato non piccola confusione il Muratori istesso se ne lamenta ed io per fuggir polemiche nojose dico esser certo, che nella provincia Bizacena di Tunisi vi fosse una città (celebre pe 'l tempio di Venere) chiamata dagli antichi Afrodisio, dagli italiani cinquecentisti Africa, e dagli arabi Mahdia: perciò, parlando delle città vicine a Tunisi, il dire Afrodisio, Africa e Mahdia, è tutto una cosa sola: anzi più usando gli arabi l'articolo al prefisso ai nomi, sarà anche logicamente una cosa sola con Afrodisio, Almahdia, Alamandia, e Dalmazia e la strana ortografia non altro manifesta che la immensa fecondità dell' ingegno dei copiatori nella ricerca degli errori. Io ora e dopo, che dovrò ritornare coll'armata pontificia più volte in questi paraggi, preferisco e metterò sempre Afrodisio piuttosto che Africa o Mahdia a fin di togliere equivoci e scrivere italianamente. La seconda città viene dai cronisti chiamata Sibilla, Subilla, Subillà e Siviglia. Confesso che niun altro mai nè storico nè geografo ha detto essere in Africa città di questo nome; quindi io penso che debba intendersi di Susa, città marittima, più settentrionale di Afrodisio, vicina a questa dieci leghe, rimpetto alla Pantelleria, tutto conforme ai minuti ragguagli dell'anonimo pisano. E volendo anche far forza sul nome, io quasi direi che la Susa di Africa, minore della gran Susa di Persia, fosse chiamata Susilla al paro di Melilla, Inshilla ed Usilla, che si trovano quivi vicine conforme alle carte di Shaw, donde gli amanuensi abbiano cavato, non senza loro secreta compiacenza di erudizione, Sibilla 15. Nelle due città pertanto regnava Timino, uomo crudelissimo ed acerrimo nimico dei cristiani, che sempre aveva contro a loro combattuto, talchè ora per improvviso assalimento in mezzo al mare opprimendo i naviganti, ora per violenta invasione dando in terra sopra le città, aveva ripieno da un capo all' altro d'infinito dolore tutto il Mediterraneo. Egli devastava la Provenza, faceva schiavi nella Spagna, conturbava l'Italia 152;

151. SHAW. Voyages dans plusieurs provinces de la Barbarie et du Levant, in-4. A la Haye, 1743. T. I. p. 173. Carte du Royaume de Tunis.

152. ANONYMUS PISANUS. Carmen in victoriam italiensium de Timino saracenorum rege. Anno 1088. Questo poemetto è composto di versi latini ottonarf rimati: sono settantre stanze di quattro distici l'una, cioè cinquecento ottantaquat

quando il clamore di tante genti oppressate giunse al cuore di Vittor papa terzo, il quale deliberò di reprimere il comune inimico e riparare alle molte ingiurie e danni, che ne venivano a tanti popoli. E tanto maggiormente prese a cuore questa impresa quanto ch' egli era virtuoso assai, e desideroso più del pubblico che del privato beneficio, talchè tutti lo lodavano di pietà e moderazione; massime che trovandosi allora la Chiesa disunita nello scisma dell' antipapa Guiberto, quantunque costui lo molestasse colle armi, non volle giammai controbatterlo nè sciupar danaro nè sangue con lui; facendo per questo e per le opere sue, ben diverse dall' avversario, palese al mondo ch'egli fosse il buono e verace pastore, che rivolgeva le armi non già

tro versi. Il barone di REIFFENBERG li ha tratti da un codice della biblioteca reale di Brusselles, e per la prima volta pubblicati nell'opera periodica intitolata – Bulletin de l'academie royale de sciences et belles-lettres de Bruxelles 1843. N. 6. T. X. in-8. Bruxelles, chez M. Hayez imprimeur de l'academie royale 1843. Ne parla anche G. H. PERTZ Archivder Gesellschaft für aeltere deutsche Geschichtskunde. T. VII. p. 539. ARCH. ST. IT. T. VI. Part. I. p. XL.

L'autore descrive il fatto come succeduto al tempo suo, e quantunque da buon pisano metta Pisa in cima a tutti i suoi pensieri, nondimeno parla lodevolmente secondo verità anche degli altri alleati. Ecco un saggio dello stile del poeta e delle opere di Timino.

V. Hic Timinus præsidebat

Saracenus impius

Similatur Antichristo

Draco crudelissimus

Habens portum juxta urbem

Factum artificio

Circumseptum muris magnis
Et plenum navigio. . .
VII. Hic cum suis saracenis

Devastabat Galliam

Captivabat omnes gentes
Quæ tenent Hispaniam
Et in tota ripa maris
Turbabat Italiam.
Prædabatur Romaniam
Usque Alexandriam.

VIII. Non est locus toto mundo

Neque maris insula

Quam Timini non turbaret

Horrenda perfidia

Rhodus, Cyprus, Creta, Melita,

Simul et Sardinia

Vexabatur et cum illis

Nobilis Sicilia.

contro le innocenti pecorelle della sua greggia, ma contro i lupi rapaci e gl' infedeli oppressori 153.

L'istoria pertanto dice, come papa Vittore mandò l'armata navale in Africa contro i saraceni, e ne riportò vittoria 154. Imperciocchè l'uomo di apostolico petto acceso nel desiderio di confondere i nemici e liberare i cristiani, fatto un concistoro con suoi vescovi e cardinali, chiamò i fedeli alle armi sotto larghissima impromessa d'indulgenza e remissione di colpa e di pena, e radunò da ogni parte d'Italia un grosso esercito, per il passaggio in Africa. Alla chiamata del loro principe si commossero i romani, e fecero grande armamento cui dette il vate pisano molta lode, e lo chiamò poderoso rinforzo di Roma possente 155. Un principe romano chiamato Pietro, che per molte ragioni io stimo essere il primo ascendente certo di cui parla il Litta nell'albero dell'eccellentissima casa Colonna, guidava le schiere ecclesiastiche 156; ed esso con i suoi valorosi compagni per le vittorie loro rinnovarono sul Campidoglio i trionfi di Scipione africano. Anche i genovesi fecero armata e convennero insieme guidati, per quanto pare, da due principali cittadini Lamberto, e Landolfo si unirono i pisani condotti da Ugo Visconti e da

153. BARONIUS. Ann. 1087. N. 8

154. PETRUS DIACONUS cont. LEONIS MARSICANI Lib. III. Cap. LXXI. - MUrat. S. R. I. T. IV. p. 480. - PERTZ S. R. G. T. IX. p. 751. « Qualiter Papa Victor misit exercitum in Africam contra saracenos et de victoria ejusdem exercitus... De omnibus fere Italiæ populis exercitum congregans atque vexillum beati Petri apostoli illis contradens sub remissione omnium peccatorum contra saracenos in Africa commorantes direxit. Christo igitur duce Africanam devoluti dum essent ad urbem, omni nisu illam expugnantes, Deo adiuvante, cœperunt, interfectis de saracenorum exercitu centum millibus pugnatorum ».

155. His accessit ROMA potens

Potenti auxilio

Suscitatum pro Timini

Infami martyrio

Renovatur hinc in illa

Antiqua memoria

Quam illustris Scipionis

Olim dat victoria.

ANONYMUS PISANUS. Carmen in victoriam, cit. vers. 89-96.

156. Altera ex parte PETRUS

Cum cruce et gladio...

Et conduxerat huc princeps

Cœtum apostolicum.

Principe e condottiero delle schiere adunate nello Stato ecclesiastico, soggette all' apostolico Pontefice Vittore III. ANONIMO cit. vers. 263-270.

uno dei Sismondi: gli amalfitani vennero sotto lo stendardo di Pantaleo; i calabresi della magna Grecia sotto quello di Sipanto; e molti altri prodi uomini e valorosi capitani da ogni parte d'Italia.

E quantunque nel mezzo tempo che le navi si preparavano mancasse per morte naturale papa Vittore, nondimeno lo stuolo di questi eroi mantenne fermamente il proposito, ed alla buona stagione navigò insino alla Pantellerìa ch'è un'isoletta tra la Sicilia e l'Africa, ove il re Timino aveva, come antimurale del regno suo, un forte castello difeso da due mila saracini di sceltissima milizia. Gli alleati quivi appunto cominciarono a dar la battaglia, perchè volevano a un tempo distruggere quel nido di pirati, assicurarsi le spalle pe 'l ritorno, e rompere le guardie avanzate del nemico. La espugnazione riuscì altrettanto gloriosa che pronta, e le maestranze di bordo ne riportarono gran lode per aver costruito bellamente sulla prora delle navi castelli e scale tanto eccellenti, da raggiugnere i parapetti dei nemici e facilitare ai combattenti l'ingresso nella terra. La qual vittoria l'istesso giorno che fu guadagnata arrivò anche a notizia del re Timino quantunque lontano al di là del mare delle miglia più che dugento, perchè il governatore delle armi sue alla Pantellerìa gliene spedì replicata notizia per diverse letterine appese al collo delle colombe, addestrate per essere messaggiere tra l'isola e la terraferma 157. Notevole industria dei saracini, per la quale si manifesta non solo il metodo che tenevano nei dispacci solleciti, ma anche la diligenza loro, che di mezzo il mare speculando con somma celerità, anzi propriamente a volo, informavano il principe di qualunque successo, che potesse secondo gli interessi suoi riuscire propizio a lui o pernicioso ai cristiani.

Ma in questa speciale circostanza l'avviso produsse gli effetti a rovescio contro Timino, perchè egli udita improvvisamente e fuor d'ogni sua opinione la perdita della Pantelleria si conturbo grandemente, e seco lui i satrapi del suo regno,

157. Hujus incolæ palumbos

Emittunt cum literis . . .
Alios mandant palumbos
Qui factum edisserant.

ANONIMO cit. vers. 117. et 139.

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