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ecco il primo corpo d'assedio che si accampa sopra la diritta del fiume proprio colà ove sorge il castello. Dall'altra banda ripigliano il cerchio di circonvallazione i regnicoli, e prima d'ogni altro Landolfo duca di Benevento, e poi Guaimario di Salerno, Atenolfo di Capua, Gregorio di Napoli e Giovanni di Gaeta. Per mare chiudono il blocco le navi Pontificie stratte da Ostia, da Porto, da Civitavecchia, e per sino da Ancona; ed insieme con quelle di Napoli e di Gaeta una piccola squadra venuta da Costantinopoli sotto Nicolò patrizio, chiamato Piccingli, a requisizione del papa. Si combatta al nome di Dio, esclamavano i fedeli, se noi vinceremo ne sia lode al soccorso celeste non alla nostra bravura e se invece perderemo ne vada il biasimo ai peccati comuni, non alla nostra codardia. E con quest'animo cominciarono la battaglia dimostrando poi per le opere, che non riuscivano male nel fatto quei che parlavano magnifiche parole. La rocca fu da ogni parte investita, e con due quartieri di cerchio circonvallata di quà e di là dal fiume per le genti dello stato e del regno; l'armata navale gettò i ponti, chiuse gli sbocchi della riviera, e dal lato del mare serrò il nemico talchè non potesse niuno più entrare od uscire dal castello, intorno al quale si combatteva ogni giorno asprissima battaglia. Durò tre mesi sempre più incalzante l'assedio, sinchè i saracini in diverse sortite già più volte malamente rotti, e poi sfiduciati di non più ricevere soccorso, ridotti allo stremo della fame, e sempre al punto di veder sulle creste dei parapetti salire a viva forza i cristiani che tentavano l'assalto, vennero alla valorosa e disperata risoluzione di aprirsi la strada col ferro e ritirarsi per la spina dei monti in Calabria. A tal fine si ristrinsero insieme;

spalancata improvisamente la porta impresero l'audacissima ritirata. In mezzo al fremito d'un lungo e minaccevole urlamento dando e ricevendo ferite e morte urtano e rompono la cerchia dell'assedio, e sopra al corpo dei nostri oltrepassando pigliano la campagna. Ma in quel tratto quantunque breve del trapassamento nel mezzo all'angustie del vallo riuscì lo scontro altrettanto feroce e micidiale quanto per l'una parte e per l'altra più difficile; percossi da ogni lato da ogni lato ripercotevano, decimati alla fronte, maciullati alla coda giunsero laceri e sanguinosi a posarsi sopra i monti vicini, lasciando la strada coperta

di cadaveri, ed il castello abbandonato nelle mani dei vincitori 130

Luitprando storico contemporaneo più d'ogni altro toccò le circostanze di questo fatto: egli esplicitamente nel suo libro ricorda non solo la presenza del Pontefice sul campo, e la sconfitta dei nemici; ma anche dimostra che i vincitori si attaccarono alla coda dei fuggitivi, e li rigirarono sui fianchi ed alla fronte, e tanto l'incalzarono e strinsero da ogni parte, che tra poco tempo nè anche un solo per valli, per selve e per monti ve ne restò che non fosse o morto o prigioniero. Le milizie romane occuparono la rocca famosa, e lo stendardo delle chiavi ondeggiò sull'asta medesima ove pocanzi arrossavano le punte della luna inimica. Gli alleati poi confidarono la custodia della fortezza alle cure di colui che aveva sostenuto la prima e più rilevante parte nel conquistarla: e tanto lungamente mantennero i papi il presidio del Garigliano; che insino a cento e cinque anni dopo, vale a dire nel 1021, si trova menzione di un castellano per nome Datto, famoso uomo nella guerra, che fu spedito da Benedetto ottavo per governatore delle armi nella rocca del Garigliano 181.

Alcuni scrittori hanno biasimato Giovanni decimo e menato un grande scalpore contro di lui rivoltandogli in vituperio l'istesso onore della vittoria, come se fosse stata cosa indegna l'essere intervenuto con la persona sua in quel campo, che senza di lui non si sarebbe mai nè congregato nè mantenuto, e nè anche avrebbe conseguito il solenne e necessario trionfo. La

130. LUITPRANDUS. De rebus imperatorum et regum. Lib. II. Cap.xiv. in-fol. Antuerpiæ 1640. p. 41.

LEO OSTIENSIS seu MARSICANUS. Lib. I. Cap. LI. S. R. J. T. IV. p. 325.
LUPUS PROTOSPATHA. Chr. S. R. I. T. V. p. 147.

ANDREAS DANDOLUS. Chr. Parte VII. Cap. x. S. R. I. T. XII. p. 199.

BLONDUS. Hist. Dec. II. Lib. II. in-fol. Basileæ 1531. p. 178.

SIGONIUS. De regno Italiæ. Ad ann. 913.

MURATORI. Ann. 916.

PERUZZI. Storia d'Ancona cit. T. I. p. 224.

SARACINI, Cit. p. 109.

LEONI. Cit. p. 132.

PIETRO GIANNONE. Storia civile. Napoli in-4. 1723. T. I. p. 476.

131. LEO MARSICANUS episcopus Ostien. chron. Lib. II. Cap. xxxvII. S. R. I.

T. IV. p. 363. col. 2. lett. B.

MURATORI. Annali 1021. in princ.

voce sola d'un Pontefice, e la sua presenza animatrice potevano scuotere dal letargo quadragenario quei municipi e principati che per tanti anni non avevano saputo far di meglio che acconciarsi sotto tributo alla servitù dei barbari. Vi sono certi avvenimenti e certe convenienze straordinarie della vita che non possono nè debbono mai giudicarsi con le ordinarie regole, ma soltanto con i precetti di quella virtù trascendente molto piccolamente conosciuta ai giudici feriali, che fu dal solennissimo maestro delle virtù, ch'è san Tommaso, con greco vocabolo chiamata epicheia, perchè prescinde dalle regole comuni e tralascia indietro la parola della legge per seguirne lo spirito, secondo ciò che richiede in talune congiunture la più alta ragione della giustizia e della comune utilità. Il Pontefice romano non deve in tal guisa protendere la virtù della mansuetudine che per eccesso divenga vile; specialmente quando ne vada di mezzo il danno dei sudditi e della comune salute; imperciocchè oltre agli onori del mansueto sacerdozio gl' incombono i doveri del forte principato; e quantunque la tiara sacerdotale difficilmente potrebbe far buona mostra tra le armi di conquista e di opinione, nulla osta per altra parte che sia veduta, quando il bisogno lo richiede, nelle guerre di necessaria difesa e di evidente giustizia. I saracini erano tali nimici che non potevano essere nè convinti nè frenati per bolle o per censure; ed è chiaro come luce di mezzodì, che nel caso concreto del Garigliano non poteva esserci altra persona che quella d'un Papa, nè altro rimedio che quello del ferro. Siffatto farmaco marziale applicarono alle infermità pertinaci molti Pontefici da san Leone IV sino a san Pio V; e gli effetti che ne seguirono vedremo appresso a parte a parte, come avanti ne abbiamo già dimostrati alcuni; che la piraterìa dei greci ed il commercio degli schiavi finì sotto Adriano I, e per opera dei civitavecchiesi col ferro e col fuoco: l'assedio di Roma fu sciolto dalle spade dei forti latini sotto gli occhi di Sergio II: l'invasione d'Italia ebbe termine con la battaglia di Ostia benedetta da san Leone IV; e le rapine minute, gli incendi dei monasteri, la desolazione delle città e le nequizie saracinesche restarono sbarbicate sotto l'acciaro di Giovanni X, che conquise la rocca al Garigliano. Imperciocchè quella fu tale cacciata che tolse via per sempre dal capo ai mori la fantasia di farsi

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italiani, li respinse dal centro della penisola, feceli quietare in tutto il secolo decimo e sebbene poi dopo cento anni elli per vecchia abitudine si riscuotessero a nuovi assalimenti, tuttavia come se innanzi agli occhi loro Giovanni vibrasse ancora in giro la spada fiammeggiante e difendesse con quella l'Italia di mezzo, si allargarono dalle nostre spiaggie, e portarono la guerra ad altri popoli, che poi dovettero anch'essi la loro incolumità riconoscere dai romani Pontefici.

XX.

916-1016.

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La vittoria per tanto da Giovanni decimo conseguita portò seco il larghissimo frutto di una centenaria pace nella quale gli animi si riposarono e comechè in questo tempo già tanto oscuro non mi occorrono nè guerre di pagani nè avvenimenti strepitosi, così me ne passerò innanzi discorrendo sopra le pacifiche notizie delle nostre marine, e farò la rassegna delle città e dei porti precipui dello Stato nostro a fine di mostrare l'essere e condizione loro intorno al mille; e con questo colmare ad un tempo il vuoto di tanto intervallo e chiarire la storia dei fatti che saranno narrati dappoi.

Ostia e Porto, le due città del suburbio romano presso al mare, dopo le vicende già descritte avevano rilevato il capo dall'abbattimento, e ripopolate di gente bellicosa ebbero innestati alla magnanima stirpe latina gli spiriti risoluti e gagliardi delle isole tirrenie: ambedue per la opportunità del luogo e l'ereditaria attitudine al mestiero del mare e della milizia rifiorivano assai più che oggidì non si stimi da chi ignora i fatti di quel tempo. Il Tevere poi, che non aveva ancora divorate le ripe nè abbattute le arginature, onde i romani imperadori lo avevano con mirabile artificio incanalato, non ancora ricolmo di tanti interrimenti nè disteso a padule nè protratte le spiaggie tre miglia oltre i porti, continuò per molto tempo ad esser navigabile dai maggiori navigli, ed a fecondare di ricchezza e di prosperità il commercio di Roma. Quando i nemici volevano nella miglior sua parte colpir questa metropoli venivano ad affrontarla sul fiume imperciocchè, come è detto avanti, l'armata navale dei saracini entrò più volte nel Tevere, lo discese, e rimontollo insino a Roma appresso a loro l'armata nostra nel 849 e quella

dei napoletani nostri alleati vennero ad Ostia per combatterli, ed in quel porto si ripararono dopo il trionfo. Li grandi dromoni pontifici e le altre navi, che percossero gl' infedeli a Terracina e condussero in Francia Giovanni ottavo, furono costruite e stanziavano al Porto romano. Il naviglio che Basilio il macedone mandava da Costantinopoli a requisizione del Papa era chiamato all'istesso porto, ove convenivano ancora le triremi di Amalfi alleate dei romani. Quivi pure nel 1118 Gelasio secondo con alcune sue galere trapassava andando da Roma a Gaeta; e poco dopo nel 1130 Innocenzo secondo al modo stesso lo seguiva ; colà stormeggiavano i pisani in suon di guerra nel 1167 per conto di Federigo Barbarossa, e salivano il Tevere sino al ponte senatorio sotto le falde del Campidoglio, e ne succedevano quegli abbattimenti col naviglio romano che saranno a suo luogo raccontati. Colà il secondo Federigo nel 1220 approdava sopra venticinque galere di pisani, a gran seguito di baronìa e milizie venendo a Roma, per ricevere la corona dell'imperio 182. Siffatti movimenti, come più strepitosi, furono nell' istoria ricordati, ed io li ho tratti e riuniti insieme in questo luogo affinchè i lettori da queste navigazioni solenni argomentino le più ordinarie e mercantili, che manco figurano nelle antiche scritture. Tuttavia per non lasciar totalmente abbandonata questa seconda parte dirò, che quivi si facesse ricco mercato d'ogni derrata necessaria all'umano sostentamento, talchè persino i monaci di Montecassino nella metà dell'undecimo secolo concorrevano alla navigazione nel Porto romano. Imperciocchè al modo istesso che usano oggidì tener valletti e cavalli pe 'l fornimento della badia, così usavano allora di tenere navi e nocchieri, e li spedivano insino al Tevere per le provigioni, dimostrando che a giudizio degli uomini più virtuosi, dotti e buoni massai, come erano i monaci di quella età, si dovesse far buon mercato alla ripa romèa. E tanto era frequente il concorso dei cassinesi, che il Pontefice san Leone IX. sotto il dì 29 Maggio 1053 188

132. RONCIONI. Arch. Stor. It. T. VI. Part. I. p. 485.

133. S. LEO IX. Abati Richerio privilegium. « Divinæ Pietatis » TOSTI. Stor. di Montecassino T. I. 203. 257.

LEONIS. Chr. Mont. Cass. ap. PERTZ VII. 685.

GATTULA. Hist. Cassin. 144.

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