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viaggi di nunzî, di legati, di cardinali, di ambasciatori. Operosità indefessa nel pubblico servigio. Il cardinal Massei a Livorno, l'Aldobrandino a Marsiglia, il Bichi di là a Civitavecchia, il Bondelmonte da Avignone, e simili. Non mi dilungo. Appendo la tabella alla tomba del general Cerruti, e passo oltre 35.

[1732.]

IV. Ora tal combattimento mi accade, e cosi minutamente descritto dai contemporanei, e di tanto rilievo per le conseguenze storiche, per la tattica, la tattica, e pei costumi marinareschi nei casi simili del tempo passato, che mi conduce a più largo discorso 36.

Un rinnegato inglese, chiamato in Algeri col nome di Assản-raïs, aveva armato una nave a tre alberi, la Liona, con quattordici cannoni, e cento tre uomini di equipaggio, tutta gente scelta ad ogni rischio e rapina; ed era uscito nel mese di settembre per una campagna invernale a schiumare le onde sulle coste dell'Italia centrale. Costui la notte del due di ottobre 1732, navigava per le acque del Circéo. Al vento freschetto di terra, al mare tranquillo, al lume chiarissimo di luna, la Liona faceva le viste di seguire di buonbraccio la sua rotta verso Gaeta: ma nel vero copriva la corsa di un lancione suo,

35 DIARIO di Roma, n. 1570.

Il Brigadier generale Agostino Cerruti romano, valente ingegnere militare, governatore delle armi nella piazza di Civitavecchia, morì al suo posto li 6 settembre 1727; ed ebbe successore il marchese Ferdinando degli Abati di Pesaro.

36 DIARIO di Roma dell'11 ottobre 1732. MERCURIO di Venezia, novembre 1732.

D. 328, vol. 179, pag. 5.

Coll. Casan. vol. 95, pag. 9.

BIBL. CASANAT. in CC. 8.

RELAZIONE del valoroso combattimento colla presa di una nave algerina, fatto da due galere pontificie, vicino al Circèo, in-4. Roma, presso il Zempel a Montegiordano, 1732.

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Bibl. priv. della Minerva, Miscell. 108, Questa miscellanea deve ora trovarsi alla Bibl. Vittorio Em.

ben armato; e si avvicinava insidiosa a diversi bastimenti, vegnenti da Napoli verso Roma. Nel silenzio della notte, il ladro lancione si attaccava di poppa a una tartanella gaetana: e, saltandovi sopra improvvisamente i pirati, se ne impadronivano; fattovi schiavo il padrone Francesco Albani, ed altri sette marinari del paese.

La fermata della prima tartana, e qualche cupo mormorio di fiere voci, riscuotevano l'equipaggio della seconda: e questi si fuggivano collo schifo a terra, abbandonando ogni cosa, pur un marinaro dormiente, alla rapacità algerina. In quella compariva una feluca vegnente da terra col vento in poppa, quasi da sé stessa a mettersi nelle triste mani: ondechè se la prendevano fresca fresca. col padrone Michele lo Schiavo, e dieci uomini: salvandosi a nuoto due soli robusti giovani terracinesi. Finalmente dopo tre ore aggueffavano una tartana di Torresi, col padrone Francesco Ráimo. In somma contate, in una notte, quattro bastimenti e quarantacinque marinari rovinati da un solo algerino.

Intanto che Assȧn-raïs rapiva e marinava, i guardiani della spiaggia, scossi da lungi ai successi, accendevano i fuochi, e le torri littoranee sparavano cannonate, e facevano i segnali dell'arme, e spargevano l'avviso di cautela e di riscossa per mare e per terra.

Allora due nostre galere, san Francesco e san Domenico (nomi augurosi per Dante, e pe' miei), uscite col buon tempo la sera stessa da Gaeta, si affrettavano verso il Circeo. I tre primi ufficiali colà in quella notte, e molto più nel giorno seguente, rappresentavano il consorzio delle tre città più benemerite della marina: cosi per ordine dal punto più lontano al più propinquo: il cavalier Guidubaldo Bonarelli comandante del san Francesco stava per Ancona; il capitano Domenico Bussi, comandante di sbarco per Roma; ed il nobile Pierdomenico Guglielmotti, aju

tante della squadra, per Civitavecchia. Alle sollecite diligenze di questi signori nel mattino rispondeva la scoperta del consigliere Benedetto Castagnola, che additava da lungi il pirata tra le tartane rapite: e poco dopo, venuto a bordo lo schifo dei gaetani fuggitivi, i nostri raccoglievano piena contezza del nemico e delle sue condizioni. Dunque forza di vela, e arrancata di tanto meglio che, a levata di sole, veniva più e più fresco il vento di terra.

La Padrona, più veliera della conserva, guadagnava cammino, e correva innanzi ormai sola, non volendo dare tempo al nemico di sfuggire. Quindi inferiva lo stendardo, e con un tiro di cannone chiamava l'avversario all'ubbidienza. L'altro in vece metteva bandiera di battaglia, e tutti i pezzi in batteria. Poco dopo il Bonarelli appressavasi abbrivato: ed Assán, poggiando alquanto sulla sinistra, lasciava andare la prima fiancata di tutti i suoi pezzi; quindi disponevasi alla seconda sull'altro bordo. Ma prima che Egli fosse venuto al segno, la nostra Padrona, non punto danneggiata dai tiri troppo alti della prima scarica (meno la rottura d'un capo di sartia volante), correndo abbrivata di tutta foga, al primo colpo di corsia abbatteva buona parte della murata, scavalcavagli un pezzo, e, sparando a bruciapelo i sagri e i moschetti, investivalo di sperone al terzo portello. In quel momento il nemico ribadiva la seconda fiancata, onde cadeva morto il sergente Domenico Bonfreni, quattro restavano feriti, e la vela maestra dimostrava i pertugi di tre grosse palle.

Dopo l'urto, la nave spinta sottovento, e la galea rimbalzata al contrario, si erano allargate alcune braccia; e ciò ritardava l'arrembo intimato dagli ufficiali, e richiesto dall'equipaggio: anzi nel vogare di destra per riprendere il bordo nemico, restavano feriti alcuni altri, e

trapassato da moschettata nel braccio sinistro il timoniere

Emiliano Andreini. Non per questo lasciarono il fuoco di moschetto e di pistola, da una parte e dall'altra, finchè non venne il destro al Bonarelli di scaricare il secondo colpo del corsiero con grande rovina dell'Algerino. E dove appariva maggiore la breccia, già stavano in punto di saltare i nostri marinari, quando dall' altra parte sopraggiungeva il san Domenico colle armi spianate, e il miccio al cannone. Indugio, urto, allargamento, terza fiancata del nemico, ed ulteriori avarie sul nostro castello di prua.

Finalmente al grido di san Francesco! (era motto d'ordine, nome della galėa, e vigilia del Santo) il marinaro Sebastiano Mezzana saltava arditamente pel primo sul ponte nemico: ma ove poneva il piè, quivi chinava la testa, gelato da una palla nel petto. San Francesco! ripetevano gli ufficiali, quando con esso loro Zanobio Baffici, Francesco Ferrari, e tutti gli altri entravano dentro. Combatterono a corpo a corpo, anche giù nel corridojo, e per le camere, finchè prevalendo di valore e di numero non ebbero messi alla catena cinquanta algerini sulla Padrona, e ventotto sulla conserva. Morto Assȧn sul cassero con altri sei: fuggiti diciotto da lungi sulle tartane.

Allora, dal profondo di stiva prorompevano le voci dei napoletani: i quali con sonori applausi, tornati a rivedere il sole e le altre stelle, ringraziavano i liberatori dell'inestimabile beneficio. E il comandante Bonarelli, interprete del pubblico gradimento, nel suo dispaccio, riprodotto dal Diario ufficiale, scriveva cosi 37: « Ambedue <gli armamenti, ufficiali, marinari e soldati, in questa

37 DIARIO di Roma cit., 1732, vol. 95, appendice pag. 17. MERCURIO di Venezia cit., vol. 179, pag. 5.

RELAZIONE in foglio volante.

Roma, Zempel cit. 1732.

<<< fazione si sono portati a meraviglia. Fra i primi il ca<< valiere Domenico Bussi, capitano di sbarco e Pierdo<< menico Guglielmotti, nobile di poppa fisso, che eser« citava da ajutante; e Vito Baccarini nobile di poppa: <<< il caporale Galli, il soldato Giuseppe Emanuele Oves, «i marinari Giambattista Fortuna, Andrea Draghi, Luca << Giannetti, Giacomo Taiffer, e Pietrantonio Tamurė; tutti << i suddetti della galea san Francesco. Et in quella di << san Domenico, Giorgio Mainardi, nobile di poppa; il << caporal Cappelli, e li soldati Paolo Brevichelli, Giam<< battista Pigliapoco, e Giuseppe Tareghini. »

V.

[Mezzodi 3 ottobre 1732.]

Dopo il combattimento, la Padrona, menandosi dietro la preda accodata, e volendo racconciarsi alla meglio, e coprirsi dal Maestrale fresco, dié fondo al ridosso di Sanfelice 38. Al contrario il san Domenico volse di presente a ricuperare i bastimenti perduti. Due ne trovò di abbandono nel pelago; riprese il terzo con cinque Turchi accoccolati, che non erano potuti smucciare per mancanza di schifo; e del quarto riebbe ogni cosa fuorchè i tredici turchi del nuovo equipaggio; i quali col battello eransi levati di vista, e indarno furono ricerchi per le isole vicine: ma andarono (come poi si seppe) a cadere fra le unghie dei Liparotti.

Prima conseguenza di questo, e di tanti altri simili combattimenti gloriosi, viene il costume generale tra gl'idrografi ed i paesisti d'ogni nazione, nei secoli passati, rappresentare sempre sulla spiaggia romana e innanzi al porto di Civitavecchia per artistico e storico corredo

di

38 NOTA e stima dei danni nel combattimento e preda del vascello algerino al Circeo, 3 ottobre 1732. ARCH. cit., III, 35:

« Sartia, vela, remi, posticcio, e prua, scudi 166,80. »

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