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la gente sua, corse appresso al rombo del cannone, e trovò ingaggiato il combattimento in un triangolo di fuoco: alla base i due legni genovesi, al vertice l'algerino: botte e risposte di qua e di là. Egli passò innanzi abbrivato, ficcò lo sperone nel ventre del pirata, e saltò sopra all'arrembo. I Genovesi seguirono l'esempio: e la nave fu presa. Morti diciannove Algerini, sei Romani, niun Genovese feriti in proporzione. Grossa polacca a tre alberi, quottordici cannoni, centosessanta prigionieri, otto Cristiani liberati 64. Quanto mi pesa la sanguinosa riotta dei vincitori tra loro intorno alla preda! Mi strazia la discordia intra gli amici, la miseria negli interessi, il vilipendio ai compagni, la burbanza dei presuntuosi: ma non per questo scioglierò il freno a passione disordinata, né a ripicco, nè a vendetta. Menerò la Polacca con tutto il corredo innanzi al tribunale marittimo di Civitavecchia; e terrommi contento alla sentenza, per suggello di giustizia e di verità scritta con queste parole dal marchese Antigono Frangipani, nostro capitano di sbarco 65: « L'onore alla galera papalina: la roba alle galere ge

< novesi. >

Di questa conclusione, or che siamo alla fine, deve il lettore tener gran conto, come ho fatt' io fin dal principio. Essa scolpisce netto il carattere della marina romana, altrettanto onorevole che disinteressato. Si vince sul Tevere a profitto dei Genovesi, si difende Corfù a vantaggio dei Veneziani, si guerreggia in Candia e nella Morea a soccorso dei Greci, si guarentisce la Dalmazia a sollievo degli Slavi, si attacca Dulcigno e Castelnovo a riposo degli Albanesi, si batte Tunisi e Algeri a quietanza degli Spagnuoli, e cosi dei Bulgari, degli Unghe

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resi, dei Polacchi, e degli altri. Giusto è mantenerne. onorato ricordo: ed io adempio al debito mio, registrando nei libri le neglette obbligazioni di tanta gente alla memoria dei generosi.

Dopo molti stenti per metter insieme gli elementi diversi, il Ferretti scioglieva per Corfù, solennemente benedetto da Legato straordinario sulla bocca del porto, quando sfilavano i legni espressi nel seguente

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[8 luglio 1716.]

XII. — A Corfù, dove adesso il Ferretti dirige la prora, sono ormai rivolti i pensieri di tutta l'Europa; e quivi a Corfù ci attende il maggior abbattimento dei perpetui nemici. Era scritto nei fati che la sola comparsa degli Ausiliari basterebbe a sciogliere l'assedio della piazza, ed a conservare incolume l'antimurale d'Italia contro tutta la potenza ottomana.

Alla primavera, avanzatosi Koggià coll' armata navale, trenta vascelli, trenta sultane, sessanta galere, e gran convoglio di fanterie e di materiali d'assedio, messa in sospetto la Sicilia, fattosi vedere a capo d'Otranto, erasi finalmente gettato sopra Corfù, risoluto di avere quella fortezza nelle mani prima che potesse di fuori essere soccorsa. Quaranta mila uomini di scelta milizia scendevano sul campo: e la flotta volteggiava nel canale fino a capo Bianco, sovvenendo continuamente di gente e di rinfreschi cavati dall' Epiro. Di rimpetto scorreva per l'istesso canale, da capo Serpa allo scoglio di Vido, Andrea Pisani coll'armata vèneta: forte abbastanza sotto al cannone della piazza, ma non da cimentarsi con la nemica dovunque ella fosse. La città e le fortezze, presidiate da sei mila Italiani, riponevano la fiducia nel senno, valore ed esperienza del vecchio maresciallo di Schulemburg, compagno di Sobieski, e soldato dei Veneziani. Trincere, batterie, brecce, assalti, eroismo da una parte e dall' altra. Il nemico incalzava coi rinforzi, il presidio rispondeva di sommo valore, lo Schulemburg non rifiniva di chiedere gente per ripienar le file, il Pisani assottigliava l'armata per rifornire la piazza, ed il Koggià palpitante insisteva a sollecitare l' espugnazione prima che gli Ausiliari venissero ad impedirla. Tale il primo pro

spetto dell' assedio gigantesco: tale l'ultima condizione della vittoria 67.

Di che il Ferretti, avacciando cammino, presto si avvide per la catena degli spioni, scaglionati dal nemico sulla sua strada. Dette la caccia a parecchi: e la sera degli otto di luglio sull'ora del tramonto a capo Spartivento raggiunse una galeotta velettiera; e se la prese, quantunque nell'arrembarla col mare grosso e da sottovento ricevesse qualche danno nel marabuttino, e nei primi remi 68. Due giorni dopo a capo di Leuca, incontrati altri velettieri, ciuffò una feluca con ventisei Turchi 69. In somma le cautele di Koggià manifestavano d'onde egli principalmente temesse il crollo all'impresa sua: chè grosso esercito sopra isola piccola non potrebbe essere sostenuto nè oppresso, se non dal mare. Ne le sue ansietà battevano a vuoto: ben sapendosi da lui e da tutti che, appresso allo squadrone foriero di Civitavecchia, e dietro al Ferretti, ne verrebbero altri parecchi di Napoli, di Malta, di Genova, di Nizza, di Messina, di Livorno, e infin di Portogallo, che uniti al grosso dell'armata vèneta, non solo rimetterebbero l'equilibrio, ma più anche l'assoluta prevalenza sul mare. In tutto cinquantasette galere, sei galeazze, settanta vascelli, quaranta mila uomini, quattro mila cannoni 7o.

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Giunto dunque il Ferretti in Corfù alla fine di luglio, e mano mano venendo gli altri, cresceva insieme la fi

67 DIEDO cit., IV, 133.

OTTIERI cit., VII, 69.

68 ARCHIVIO DELLE FINANZE cit., Allegato II, n. 25: « Stima dei danni al marabuttino ed ai remi, e galeotta presa agli 8 luglio 1716. »

69 FOLIGNO, 14 agosto 1716: «Da lettere di Lecce del 24 luglio abbiamo che le galere del Papa hanno fatto preda di una feluca con ventisei Turchi, usciti fuori per ispiare l'arrivo delle ausiliarie. »

70 FOLIGNO, n. 27. Data di Roma 27 giugno 1716: « Nota delle navi, galere, e galeazze, tanto della Serenissima, quanto degli Ausiliari di S. S. et altri principi. »

ducia dei nostri, e la disperazione degl' invasori: ai quali ogni giorno faceasi più difficile non solo l'espugnazione, ma anche la ritirata: chiuso alle spalle ogni passo dell'isola per tanti navigli; chiuso di fronte il progresso dalle stupende fortificazioni della capitale. Quei baluardi poderosi alla riva, e quei castelli sublimi sulle vette, eretti già a gloria degli avi dall'ingegno del Sammicheli e dei classici architetti italiani; difesi adesso dall' intrepido petto di non degeneri nepoti, torreggiavano notte e giorno innanzi agli occhi de' barbari; e ne tenevano perplesso l'animo sotto l'arcano sentimento dell'ammirazione intellettiva, superiore alla forza materiale.

Ai sinistri presagi del superstizioso animo musulmano si aggiunse lo spavento d'inattesa tempesta alli venti di agosto, dalla levata del sole al mezzodi, con turbine di vento, scroscio di folgori, e rovescio di pioggia dirotta. Il mio corrispondente di là dice ": « Il giorno venti di << agosto furiosa burrasca e temporale, sofferto da tutte << e due le armate sul ferro per sette ore, dalle dieci alle < diciassette, con tanta acqua, che dalla poppa alla spalla << sinistra in pochi momenti se ne empirono trentasette ‹ barili. » Risparmio di fatica ai nostri acquatori, e accrescimento di molestia e di pantano alle trincere nemiche. Allagate le gallerie, avvilito l'esercito, sbattuta l'armata, presero i soldati a maledire l'impresa fatale, ed a chiedere minacciosi la levata. Cresciuto il disordine nella notte, abbandonarono ogni cosa, risalirono sulle navi: e intesi soltanto a scampar la persona, cosi fuggirono da Corfù, come già due secoli prima da Malta.

Al far del giorno il presidio, vigilante più del solito, per aver sentito tutta la notte il movimento nel campo, aspettavasi qualche improvviso e furioso assalto, quando

LETTERA da Corfu. Data del 30 agosto 1716.
BIBL. CASANATENSE, MSS. X, VI, 36, pag. 97.

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