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stato nominato nei documenti delle guerre levantine: e lo lascia finché durano i sospetti degli insulti ottomani 34. Al ritorno prende la scorta di un convoglio frumentario per Avignone, dove manca il pane: di là rimena a torme i fanti avignonesi, che lasciano la Provenza affamata dalle guerre, ed entrano nella milizia romana di guardia ai confini contro lo scorrazzamento troppo libero dei belligeranti 35

L'ambasciatore di Spagna, duca d'Uceda, s'imbarca a Civitavecchia (1709). Incontra fierissima tempesta di Scirocco. La Capitana, scossa dell'albero, dell'antenna, e dei remi, si rifugia a porto Ferrajo. Le conserve sferrano: san Francesco a Livorno, san Benedetto a Vada, san Pietro alla Spezia. Ed i corsari di Flessinga bloccano l'Elba per avere il Duca nelle mani. Se non che la nostra Padrona da Livorno porta un albero di ricambio, due pezzi d'antenna, parecchi remi. Colgono il momento, rompono il blocco, e sbarcano l'Uceda a Marsiglia. Al ritorno portano monsù di Polignac 36.

Muore il Felici senza prole alli trenta di maggio (1710). Lascia erede un nipote Giambattista Pisani, inetto per l'età e gravato di debiti. Il tesoriero Giovanni Patrizi affida la continuazione dell'assento ad Antonio Papi di Roma, ed a Giulio Pazzaglia di Civitavecchia fino al termine di marzo 1715 già pattuito, e senza altra novità, a beneficio dell'erede Pisani, e del ceto dei creditori 37. Viaggi continui per le bisogne di Avignone. Incendio di grossa nave genovese del cap. Majo noleggiata sotto bandiera fran

34 PAOLI, Codice Diplom., II, 377.

POLIDORI, Vita Clem., lib. III, n. 35.
NOVAES, Vita Clem., I, 428, 457, 469.

35 FOLIGNO 1708, novembre 13, dicembre 4.

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28 maggio, 4 giugno. 4, 8, 15 d.o, 2, 23, 30 lu

37 STRUMENTO ecc. Atti del Petrucci, 18 luglio 1710.

cese da Andrea Reggio principe di Campofiorito, e da Vitale Valguarnieri principe di Nescemi. Ritirato l'equipaggio, il Ferretti con quattro cannonate sommerge la nave ed il fuoco 38

Muore in Roma don Federigo Colonna, più volte nominato da noi, e negletto da' suoi (1711) 39. Prende congedo il cavaliere Rodolfo Malaspina: gli succede nel comando del san Giuseppe il cav. Carlo della Motta Aureliani di Avignone 4°. Viaggi continui e convogli per tutto l'anno. Servito alla nunciatura di Malta monsignor D'Elci, alla fuga da Messina monsignor Tedeschi dell'interdetto. A Barcellona il nunzio Spinola: a Genova il cardinale Imperiale, legato straordinario presso l'Imperatore sedente in Milano. Comparsa solenne di tutta la squadra, alla maniera delle precedenti legazioni del cardinale Carlo Barberini a Filippo V in Napoli, e del cardinale Francesco in Francia e Spagna, già largamente

narrate.

[1712.]

VII. Mentre con diverse vicende durava la guerra di successione, la Sicilia divenuta provincia di Spagna borbonica, e Napoli provincia di Germania austriaca, peggio i corsari dall' una e dall'altra parte infestavano il mare e per terra le ostilità duravano di qua e di là in quei paesi che non si erano ancora sottomessi; massime nella maremma senese, dove attacchi e difese ribollivano intorno alle cosi dette piazze dei Presidî. Distratte le galere nostre in tanti viaggi, ed appressatasi la stagione invernale, i ministri di Roma per assicurare l'approvvigionamento della capitale fecero allestire in Civitavecchia

38 FRANGIPANI, Stor., pag. 170.

39 AVVISI di Napoli, data di Roma 15 settembre 1711 († 3 settembre). 40 LABAT cit., V, 79.

al corso due grosse navi, dette perciò Barche Corsare: venti cannoni per ciascuna, altrettanti petrieri, centoventi uomini tra marinari e soldati e ne dettero il carico al nobile Cadolini, che prese per luogotenente sul secondo bastimento il conte Michele Balzarini, del quale avremo appresso a dire cose maggiori. Ambedue in poco tempo resero grandi servigi alla navigazione ed al commercio. in questa parte dell'Italia centrale: e non soltanto agli statisti, ma pure ai regnicoli, ai toscani, ai liguri, ed a tutti i naviganti del Tirreno. I trafficanti napoletani si assembravano a Gaeta: e, quando il Cadolini co' due Corsieri passava pel golfo di Terracina, quelli in frotta venivano a mettersi sotto la sua protezione, pregandolo di scorta; ed egli, senza niuna mercede, li menava sicuri al Tevere, a Civitavecchia, a Livorno, ed oltre: e faceva altrettanto al ripasso coi liguri e coi toscani. Tutti di lui lodavansi a Roma, dove si facean le spese a vantaggio di tutti.

In questo mezzo, per tradimento del governatore di Orbetello, gli austronapoletani essendosi impadroniti di quella piazza, si volsero ad acquistare per forza anche Montefilippo e Portercole: e per agevolare l'impresa posero insieme tre galere, e un barcaccione da trenta cannoni, cui chiamavano il vascello san Gennaro, sotto il comando di un tale Fuencalada, uomo di radice spagnuola, di borsa napoletana, e di politica austriaca, il quale con tale squadriglia erasi messo al porto di Sanstefano per dar calore all' attacco, e per fornire il campo di munizioni e vittuaglie.

Allora accadde tal fatto alla passata del nostro Cadolini, che non leggendosi in niuna cronaca, nè collezione, né archivio romano, merita essere qui riferito sopra la fede dell' unico documento originale dello stesso Cadolini, tradotto in francese ed inserito ne' suoi viaggi dal

mio confratello padre Labat, dimorante allora in Civitavecchia. Udite quali fossero le condizioni di Roma e della sua marina, e le costumanze navali, e le giurisdizioni militari, e il maneggio tra vela e remo nel secolo decimottavo, e in mezzo ai signori pretendenti di successione. Parla il capitano Cadolini "1:

« A due ore dopo mezzodi, il giorno ventiquattro aprile 1712, io sono arrivato presso monte Argentaro. Avevo con me un convoglio di otto bastimenti: cioè quattro romani, tre liguri, ed uno livornese, tutti in pieno carico per Civitavecchia e per Roma.

« Noi vedemmo uscire dal porto di Sanstefano le tre galere napoletane', che appressandosi a noi fecero una fumata, per la quale fui costretto imbrogliar le vele e mettere in panna per aspettare di sapere ciò che si volesse da me. Le galere, venendo avanti, replicarono la seconda fumata: ed io feci mettere lo schifo a mare, e mandai il mio Secondo alla Capitana per ossequiarla. Quel generale gli domandò la mia patente, e l'altro rispose di non averla seco, perché gelosamente custodita nelle mie mani, come capitano del convoglio: e che io stesso l'avevo mandato per ricevere gli ordini suoi. Quel Generale ritenne il mio Secondo, e rimandò lo schifo coll' ordine che io dovessi andare in persona a mostrargli la mia patente.

<<< Intanto le tre galere, cacciatesi di mezzo al convoglio, per ordine del Generale richiamarono gli otto padroni, e li distribuirono separatamente nelle stesse galere, ed intimarono a tutti i bastimenti di raccogliersi nel porto di Sanstefano.

41 JEAN BAPTISTE LABAT (de l'ordre des frères prêcheurs), Voyage en Espagne et en Italie, in-8. Parigi, 1730, VI, 134: « J'ai entre les mains Poriginal de la Rélation écrite de la main du sieur Catolini, et je crois faire plaisir au Public de lui en donner la traduction. La voici, c'est le capitain Catolini qui parle. »

<< Mentre queste cose accadevano io arrivai sulla Capitana: ed al generale della squadra, chiamato Fuencalada, porsi la mia patente. Disse che egli mi riteneva al suo bordo: e che poscia a Sanstefano avrebbe esaminato. diligentemente le patenti di ciascuno, e le polizze di carico. Quando fummo nel porto, egli mandò tre ufficiali de' suoi a visitare le mie due Barche armate: ed avendomi chiamato a sè, dissemi: Voi sarete contento che questi signori vengano a visitare le vostre Barche. Io risposi che noi ci incontravamo sotto alle mani sue: ma che mi sembrava inconveniente simile affronto alla bandiera di Sua Santità. Ed egli fieramente rispose: Io voglio che siano visitate infin sotto al pagliuolo della savorra.

« Questi tre ufficiali, entrati nelle mie Barche cercarono ogni cosa in ogni parte: e non avendo trovato ciò che volevano, munizioni di guerra, facendo le viste di credere che il Papa sottomano procurasse l'approvvigionamento di Portercole, davano forza ai loro sospetti perché le polizze di carico erano scritte in carattere francese, sebbene di lingua italiana, e dirette ai mercadanti di Civitavecchia. Essi continuarono le visite e le ricerche con diligenza straordinaria, scossero la savorra, e non lasciarono canto ne pertugio dove non mettessero le mani: per fino nella santabarbara rovistarono coi lumi accesi. Ma non avendo trovato nulla a loro proposito, essi si ritirarono; e le cose restarono li infino a quattr' ore di notte. Allora venne la feluca della Capitana a cercare gli scrivani delle mie due Barche per ordine del Generale, e ne portò uno alla Padrona, l'altro alla Sensile. Quegli del mio bordo fu messo in catena al banco coi forzati, e l'altro solamente in arresto. Si fece di tutto per obbligarli a dire che le mercanzie trovate sulle mie Barche appartenessero ai francesi. Alle minacce aggiunsero le lusinghe, e dopo averli importunati per tutta la notte,

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