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di Scirocco, cioè del vento regnante, convoglia nella insenata orientale di capo Lunare: e ciò pel fatto locale torna alla teoria generica del Cialdi sul flutto.

Dopo l'impresa delle paranzelle, i pirati si attaccafame schifosa, alle coralline. Sono piccole barche coteste, senza coverta, ingombre di attrezzi, e piene di povera gente, che tra i digiuni e gli stenti pescano ad ornamento dei ricchi il corallo. Fuggirono tutti la notte del ventotto maggio, ed entrarono, si ben trafelati, ma pure a salvamento, nel porto d'Anzio 36. Destarono tutto il paese: che quelle voci in casi simili si conviene averle sentite, per conoscerne il timbro. Le torri di Anzio sparsero, e le altre ripeterono i segnali. Quindi uscirono da Civitavecchia contro vento due galere coi capitani Bonaccorsi e Colelli, i quali la mattina all'altura di Palo s'incontrarono coi nemici. Subito in caccia da una parte e dall'altra: tutti in poppa, vento fresco di Scirocco. Corsero dall' alba infino alla sera del ventinove di maggio. Già in vista la Corsica, paese neutrale, si fece necessaria la prestezza. Ondeche gli allievi del Calabrini assestarono quattro colpi di cannone grosso: e si vide la galeotta piegare alla banda, scuotersi incerta, aprire uno squarcio, e sparire tranghiottita dal mare. Appresso si udirono le voci, e si videro i naufraghi venire a nuoto supplichevoli verso le galere, dove dagli schifi ne furono raccolti ventisette 37.

Intorno a questi peluzzi minuti non potre' io metter liscio l'ordine preciso del tempo, senza arruffare tutta l'acconciatura del discorso corrente. Che però prima di venire alla intricata discussione del predetto fatto, vivamente dibattuto per due anni tra Roma, Algeri, e Parigi, mi accade tale aneddoto qui sulla spiaggia romana, che

36 DIARIO di Roma, 6 agosto 1788, pag. 19. 37 DIARIO cit., 2 agosto 1788, pag. 14.

non vuol essere pretermesso: tanto bene esso si lega ai costumi marinareschi del tempo passato. Addi ventisei settembre 1789 a mezzo miglio da capo d' Anzio, per sorpresa di galeotta tunisina nella oscurità della notte, fu presa una tartana genovese del capitano Giacomo Isetto, proveniente da Trieste. Il capitano e l'equipaggio, tratti in catena sulla galeotta, andarono a Tunisi. E sulla tartana, marinata per la stessa direzione, montarono sei persone: quattro turchi, un rinnegato, ed un giovane pilotino genovese della stessa tartana. Costui solo, più pratico del mar Tirreno che non tutti insieme gli altri cinque, e per ciò stesso sovente da loro consultato intorno alla convenienza di approdare a tappa di rilascio tra gli amici in Corsica, tanto astutamente seppe governare la rotta, che invece di condurre i compagnacci nel golfo di Santamanza presso le bocche di Bonifacio, li meno tutti contenti sotto la torre di Fiumicino alla foce del Tevere. Colà i guardiani e il Torriero, vigilanti come allora stavano, ricuperarono subito la tartana, e misero in carcere i quattro musulmani e il tristo rinnegato. Costui non altri era che quello stesso Giambattista Queirolo genovese, il cui nome e condizione si leggono scritte nella nota degli schiavi qui addietro inserita: e per segno di resipiscenza, da se tornò spontaneo alle patrie leggi dei suoi maggiori, e divenne capitano marittimo del commercio civitavecchiese, dove stabili sua dimora e famiglia. Gli altri quattro musulmani non guari dopo tornarono a Tunisi per contratto di scambio a favore degli altri genovesi, e del padrone Isetto, pel quale adoperossi efficacemente suo cognato il capitano Giuseppe Castagnola delle guardacoste 38.

38 ARCHIVIO DELLE FINANZE cit., XIII, n. 274, segg.
DIARIO di Roma, ottobre 1789.

Vedi sopra lib. II, nota 45, pag. 98, n. 50 in fine.
GUGLIELMOTTI. 9.

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Per la frequenza di simili scontrazzi, dove entrava la Corsica, messosi di mezzo il Governo francese nuovo acquirente dell' isola; e principalmente principalmente pel fatto delle cannonate contro la galeotta ladra di coralline e paranzelle, si aprirono conferenze internazionali al fine di regolare in buona forma il diritto d'immunità e di asilo. Gli Africani dicevano frode a Fiumicino: dicevano ingiuria a Bastia: dicevano caccia finita a sei miglia da Portovecchio. Gli altri rispondevano latrocinio di paranzelle, di coralline, e di tartane: caccia cominciata a Palo, e compiuta a largo mare di notte, quando non si poteva capire distanza di terra. In somma il Console francese incaricato in Algeri di risolvere tali quistioni, venne di concerto col Bey alla seguente dichiarazione: « Quan<< tunque negli antichi trattati sia scritta la distanza di << trenta miglia.... nondimeno perchè da tale stipulazione provengono frequentissime controversie tra le due po<< tenze, esse sono d'accordo nel volerla abolire; e da quinci innanzi il limite delle immunità, cosi pei basti<< menti algerini, come pei loro nemici, resta fissato alla << portata del cannone dalle coste di Francia e di Cor«<sica. Fatta in Algeri il giorno 12 del mese di Regel << 1204, corrispondente al 29 maggio 1790 3. »

[1790.]

39

VII. Per chiarire anche meglio il valore dei trattati barbareschi, la portata del cannone, e l'argomento

39 ARCHIVIO DELLE FINANZE, già a palazzo Salviati, Navi e galere, vol. XIII, n. 282, 284: « Quoique dans les anciens traités il soit dit à eloignement de trente milles ... cependant comme cette stipulation est un sujet de discussions très-frequentes entre les deux puissances, elles sont convenues de l'abolir; et dorenavant les limites de l'immunité, tant pour les vaisseaux algeriens, que des ennemis, sont fixées à la porté du canon des côtes de France et de la Côrse. Fait à Algier le 12 de Regel 1204, cor

respondant au 29 mai 1790. »

d'asilo, voi che leggete, venite meco sur una nave napolitana a rifugio sotto la torre di san Vincenzo nella maremma sanese, dove gli sventurati tremano dinanzi a sciabecco tunisino. Il barbaresco, rispetta la torre, e blocca la nave. Aspetta li fermo, tanto che, per fame o per qualunque altro disastro, possa predarla. Se non che avvisato del fatto il cav. Niccola Bonaccorsi, capitano della galéa san Pio, esce di Civitavecchia, e attacca risolutamente lo sciabecco, laddove si teneva rispettoso fuori del tiro della torre. Ne segue vivissimo combattimento: durante il quale, ridotto il tunisino a mal partito, spiega le vele, e piglia la fuga, lasciando contento il Bonaccorsi, liberi i napoletani, e quieti i lorenesi 4o.

Il compagno di lui, quasi direi per ammenda, se non senti la potenza del cannone, cadde qui intorno, dove ronzava, sotto la sferza del Libeccio. Entrato il verno, e rotti i tempi a tempesta, trovandosi alla vista del porto, ma troppo stretto alla riva, venne a dar di traverso, e restò infranto fra gli scogli. Diciannove soltanto scesero in terra prigioni, gli altri cento e ventuno perirono nei gorghi del mare ". Tristo mestiero.

Il capitano Bonaccorsi, come teneva perfetto l'ordinamento di bordo, così ci ha lasciato tutto il prospetto generale di sua galéa in battaglia, messo l'uomo fisso al posto determinato, col nome, e ufficio di ciascuno. Questo minuto documento, è ben conservato, perchè di epoca recente, ci compensa della perdita di altri più antichi, e però non giunti infino a noi dalla Prévesa, e da Lepanto: e ci mostra quale fosse in procinto di combattimento l'ordine interno; e, quasi direi, la faccia di ciascuna trireme, secondo le regole tradizionali. Divide

40 DIARIO cit., 11 giugno 1790, pag. 2.
41 DIARIO cit., 19 novembre 1790, pag. 6.

vano il corpo in tre liste per lungo: Destra, sinistra, e corsia. E messo dovunque l'uomo certo alla posta certa, assegnavano cosi a ciascuno l'ufficio suo, che nulla vi avesse di superfluo, nulla di negletto. Pubblico l'importante documento, col quale potrà ciascuno risalire facilmente dal Bonaccorsi al Colonna e più oltre, tanto sol che triplichi al bisogno i numeri, e scriva cento per la maggiore, dove per la minore si legge trenta.

Il Bonaccorsi anzi tutto pensa all' assalto in sei gruppi, quattro di marinari e due di soldati, a destra ed a sinistra, sotto la condotta del primo tenente e del primo alfiere. Seguace della scuola di Scipione, non mette altrove il primo perno della difesa strategica, se non nell' attacco al centro nemico. E perchè l'avversario non possa sfuggirgli, prima dell' ultimo assalto, egli assegna il posto al rizzone; ancorotto da quattro o anche più marre, legato a catene di ferro, e tratto da canapi poderosi, che si gittava sul bastimento nemico, specialmente tra le sartie, per afferrarlo e strignerlo da vicino: e la ciurma alava a segno le vette di richiamo e di ritegno.

Appresso il documento passa alle tre batterie, di cannoni, di petrieri, e di spingardi, onde si stabilisce l'offesa da lungi, nel mezzo, ed allato; secondo l'incontro, la mossa, e la stretta del nemico: e si guerniscono le balestriere agli sbocchi dei filaretti sulla estremità anteriore e posteriore dei banchi. Ne si tralascia per tutte. le svariate occorrenze l'armamento dei maggiori palischermi a concorso dei marinari e de' soldati, dovunque

convenga.

Nelle camere d'abbasso si assegna il ricovero ai caduti ed ai feriti, sotto la sorveglianza del cappellano e del chirurgo: la cura del mezzo al maestro d'ascia e al calafato per tutte le riparazioni imminenti; la cima al tamburo sulla sommità della freccia per dare i segni mi

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