Che fresco vento è al paragon l' estivo Fiato, che l'erbe in queste piagge asseta, E freddo il ciel, che sul mio capo avvampa . Rapido quivi l' aureo Sole ascende,
E a lui davante il primo albor vien manco. In immensa di raggi onda ravvolto Dal fiammeggiante carro il guardo ei gira; Ma le vampe a temprar, sovra l'oppressa Terra benigno all' aleggianti aurette Le argentee porte del mattin disserra. Sublime scena, di beltà tremenda E di barbaro fasto intorno cinta, Ove in pieno vigor del giorno il padre Le stagioni addoppiando, assiduo move! Di metalli e di gemme ogni montagna Qui tesoreggia, e mentre l' ardua cima Col ciel confonde, per gli accesi fianchi Rivi diffonde dalle arene d'oro. Di spazioso e sempre verde ammanto Qui maestosi boschi ornano i colli, Ed a' vetusti canti arbori ignoti,
Del Sol figli e de' fiumi, attorno l'ombra Addensano così, che tra le foglie
Varco non trova in pien meriggio il lume. Perpetui frutti, o già maturi o acerbi, Di esquisito sapor, gravano i rami; E benchè tra dirupi ed infocate Sabbie cresciuti, sotto rude scorza Fresco succo e salubre in lor si chiude. A' boschetti di cedri, ove il dorato
Arancio la beltà cresce del verde, Fra cui soave biondeggiar si mira,
Or mi guida, o Pomona, e sotto il vasto Tamarindo, che l'ira della febbre Calma co' frutti, non negar ch' io posi; O dell' indico fico alla bell'ombra
Meco volgendo il piè, fa che l' arsura Tempri colà dell' infiammato clima. Più pago ancor, d'aereo monte in vetta
L' ardua palma vedrò dell' aure al fiato, Spander la chioma, e far più grato il rezzo. Su que' verzier del Sol placido steso, Ricolmo un nappo dell' umor del cocco Gradirò di tua man, o dalla palma Licor trarrò sì prezioso io stesso,
Che non vanti l' ugual di Bacco il regno. Nè a vil te avrò, prolifico granato,
Nè dell' umìl silvestre pianta i semi. Sotto caste apparenze avvien che spesso, D'ogni pompa maggior, si asconda il merto. Dilicato così tu, re de' frutti,
Vago ananasso, pingue polpa chiudi, Onde l' età dell' oro in van si noma . Del saldo schermo delle verdi squame Lascia, deh lascia ch' io ti spogli; e fatto Di tesori d' ambrosia opimo il desco, D'un cibo mi ricrei degno di Giove.
Cangia la scena: immenso il pian si stende,
E la rapita ognor pupilla errante Sol di verde si pasce. Di più vivi
Color vestita che giardin non mostri, Altra Flora qui appar, che sovra i campi Scherza, e con lieve man sì li dipinge,
Che altrove al paragon languido è il maggio. Fosca sembianza offre talor la valle: Poi quando, o pioggia che d'amico vento, Secondata dal Sol, giunga su l'ale, O rugiadoso umor l' erbe ristori,
Di verdeggiante ammanto ancor fa pompa. Schiva d' ogni arte in solitaria stanza Colà Natura veneranda alberga. D'ovil non men che di custode ignari Arbitri d'ogni pasco erran gli armenti; E arcani fiumi, di ferace limo, Tesor della contrada, empion la sponda. Quivi tra i giunchi il cocodrillo ascoso, Il verde tergo mostra; e quasi cedro Rovesciato dal vento, colla stesa Enorme coda il terren copre. L' onda Entro il letto si aduna; e di robusta Maglia vestito, il formidabil capo L'ippopotamo estolle. Incontro al vasto Impenetrabil fianco lo scagliato
Dardo si spezza. Impavida sul lito
Move la belva, o d' altro pasto in traccia, Il vicin poggio ascende. A lei d'intorno L'erbe obblïando la vagante mandra Si reca, è l'innocente ospite ammira.
Del biondo Nigro in riva, o presso ai sacri
Umor del Gange, in solitaria selva
Tranquillo al rezzo di vetuste piante L' adiposo elefante si ristora; Avveduto animal, d'unica forza; Ma dal nuocere alieno. Rinnovarsi Ei l' età vede, ruinar gl' imperi, Novi apparirne, e cangiar volto il mondo. Opra d' uom non lo alletta. Oh avventuroso, Se le coperte vie schivar gli è dato, Che, a satisfar crudel disio, gli tende, O il vano fasto a lusingar de' regi, A lui sul tergo di posar superbi, O a farsi torre di sua mole in guerra, Involontario spettator di stragi .
Pari da lunge ai più bei fior, del fiume Scherzano in riva gli augelletti a schiere, Cui d'ogni color vivo in mille guise Piacque a Natura ingentilir le penne; Ma larga di beltà, lor niega il canto. Poco ne cal della leggiadra pompa, Che lor di Montezuma il ciel comparte, Nè degli stuoli di volanti stelle, Che a' rai del Sol coloransi. Decoro Delle nostre foreste è Filomena.
Umile ha il manto, è ver; ma quando annotta, Con patetico metro ella ne molce.
Vieni, o Musa: le inospite contrade Lascia; e di Sennaàr varcato il piano, Rapida i gioghi della Nubia ascendi, E, con ardito cor, della gelosa Abissinia i confin trapassa, e vola.
Non già d'industria social con falso Nome i tesori ad involarne aspiri, Nè la pace a turbar, nè con feroce Consecrato pugnal quivi del Tebro I purpurei vessilli ergere a forza: Ma pari ad innocente ape, su prati Errar godrai di mille fiori adorni, O fra boschetti di gesmin contesti, O delle palme all'ombra, e delle verdi Aromatiche piante, onde ristoro
Contro il maggior pianeta hanno le valli, E serto i monti più che l' Alpi eccelsi. Su l'ampie cime al mormorio del vento Riposar ti fia grato, o su la balza,
Che se infocato ha il piè, fresca ha la fronte. Ammirandi palagi, e templi, e ville Tra culti piani ed odoriferi orti Torreggian quivi, e cristallini fonti Dissetano l'erbetta, e senza guida, E da sospetto scevra erra la greggia. Region fortunata, ove non anco Il timor penetrò! Purissim' aura Delle fragranze de' boschetti onusta, Dovizia d'ogni colle, ivi respiro.
D'acqua cadente odo il fragor. Dall' ime
Latebre arcane del paterno monte L'oro ella trae, che su le pingui rive, D'ogni eletto animal ridente albergo, Biondeggia e ferve. Portentosa terra! Con sovrastanti rai te il Sol rimira;
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