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Vide, che dalla somma Origin prima
Sino alla meta del deserto nulla
Decrescendo si estende, orrido abisso
Donde smarrita Fantasia si arretra?
Sin che tant? oltre sua virtù non giunga,
Freni dunque il mortal voce e pensiero;
E con santo stupor inni di lode
Al Creator dell' Universo innalzi,
Onde l'amabil sapienza al nostro
Spirto brillò come allo sguardo il Sole.
In mille forme la minuta stirpe
Così del dì ne' rai si avvolge, e scherza,
Finchè del Verno la procella alata
Non ne disgombri l'aere. In cotal foggia
Chi le delizie di quaggiù sol cura,
Di sè medesmo immemore, trapassa
L'estate della vita; e di Fortuna,
Che al par della stagion rapida fugge,
Al diletto baglior, da desir vani
All' insania

e da questa a rei costumi Trascorre in sin che Morte apra la tomba, E ne sommerga obblio l'oscuro nome.

Di vita piena e di vigor, dall' opre Del meriggio abbrunita, in mezzo ai prati Già la campestre Gioventù si mostra. Pari ad estiva rosa, allor che il primo Raggio accoglie del giorno, agli altrui sguardi Di bel rossor la vergine si accende, E mille grazie nel sembiante aduna. Depon la tarda età quivi sua soma;

E carco il rastro d' odorifer' erbe,
Scherza, correndo il fanciullin, che letto
Poscia di lor si forma, e col suo pondo
Fuor delle cime ne sprigiona i semi.
La falce intanto il buon villano adopra,

E il molle fien distende, o quel che al Sole
Già d'umor si spogliò, raduna e tragge.
Vola sul prato l'odorosa polve;

Ancor verdeggia il suolo, e in alti acervi
L'arid'erba si mostra; e le giulive
Agresti voci, che fra il gaudio e l'opra
Si risvegliano attorno, in dolce guisa
Trasporta il venticel di valle in valle.

Incalzato dai veltri, e dalle grida
Degli sparsi cultor, si affolla il gregge
Dove il torto ruscel sovra più largo
Letto spandendo l' acque, il corso allenta,
E arenoso pendio forma la riva.
Sovente un' agna pel villoso tergo
L'impaziente pastorello afferra,
E nell' onda la scaglia. Mansueto
L'intero armento allor nel rio discende,
E all' altra sponda palpitando nuota.
Bee la lana così le gelid' acque,

E monda e bianca fassi al par di neve;
Mentre, nimica del commosso limo,
Verso più puro umor guizza la trota.
Tutto grondante il ponderoso manto,
Di quinci l'umil gregge a lento passo
La nuda rupe ascende, e al Sol riposa.

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Dall' indiscreta violenza afflitto,

Con incessanti lai l'eco risveglia

Delle propinque rive, e n' empie i campi.
Dal pastorel guidata, intorno al chiuso
La querula famiglia al fin si aduna.
Vago d' altro lavor, siede non lunge
De' custodi la schiera, e la sonante
Forbice arruota. I preziosi velli
A raccôr presta, la più antica sposa
In lor si affissa; e amabilmente adorne
Le fan cerchio le figlie. In tal sembiante
Che misto al brio mostra il decoro, assisa
Una tra queste appar, che ogni altra vince:
Ella è del coro pastoral regina .
Con vivi rai, soavemente accorti,
All' agreste suo re colei sorride,
Ed alla gioja, non di fiele aspersa,
Si abbandona ciascun : nè all' opra nuoce;
Chè rapida si avanza. Altri la bruna
Pece discioglie, o delle nude agnelle
Sovra le terga a disegnar si appresta
Il nome del signor. Sotto la destra,
Che spogliar dell' onor la dee del manto,
La pecorella altri trascina a forza,
Mentre garzon di vigorose membra
Lo sdegnato arïete, per le torte
Corna afferrato, a trattener si adopra.
Misero! ei pur, duce del gregge, scarco
Della veste natia, l' interna pena

Su la fronte discopre, e col lamento

7

Par che il pastor di crudeltade accusi.
Non paventar, placida stirpe: il ferro
Questo non è di chi tuo sangue aneli;
Ma del cultor, che a provveder costretto
Agli annui censi, il rinascente manto,
Soverchio al viver tuo, cangia in metallo.
Però tra poco di sua man disciolto
Andrai più lieve a spazïar sui colli.

Semplice scena villereccia è questa:
Pur d'Anglia lo splendor quinci deriva.
Sulle dovizie degli ardenti climi
Impera ella per lei. Così del Sole

I maggior doni ottien, dai danni immune.
Ai campi, all' arti e ad ogni prova industre
Vòlti i suoi figli, ornan per lei la terra.
Per lei tremenda i fulmini di Marte
Scaglia sui salsi flutti, e minacciosa
Or della Gallia umìl sovrasta ai lidi,
E i mari signoreggia, e 'l Mondo affrena.

Arde pieno il meriggio; ed ignei dardi
Vibra l'astro del giorno. Un mar di luce
Lunge quanto può acuto occhio trar d'ale,
Il cielo inonda. Sulla terra indarno
Ristoro si desìa; chè insiem co' sensi
Dagli accesi vapor l' animo è oppresso.
Son nell' ime radici arse le piante:
Si fende il suolo; ed un color si spande
Sulla pianura, che lo sguardo attrista.
Più della falce non ripete l'eco

Il grato suono quand'è in giro mossa.

D' erbe olezzanti il mietitor coverto,
A terra steso, si addormenta; e appena
Della locusta il mormorio si ascolta.
Tutto è silenzio e ardor. Trepido il rivo
Da lunge si discopre; e della selva
Par che l'orezzo a rintracciar si affretti,
Di rinfrescar bramoso i caldi umori.

I tuoi furori acqueta, estivo foco,
D'ogni possa maggior, onde il cerebro
Scampo almen trovi da' cocenti strali.
Da te percosso, in van mi affanno e gemo,
E le tenebre invoco. Oimè, lontane
Son le tenebre ancor; e a più penose
Ore avvampanti si disserra il varco.
Beato quei, che sul pendio del monte,
Coronato di boschi, al rezzo giace,
O in erma grotta, d'ellera vestita,
Presso gemente rio placido siede,
Mentre chi le fresc' aure in van sospira,
Sotto infiammato ciel s'agita e langue.
Di puro cor, d' imperturbabil alma,
Parco ne' suoi desir, mite nell' opre,
Immagine del savio è l'uom felice.

Salve, o benefic' ombra, o veneranda Schiera di verdi quercie e d' ardui pini, Onde sovra la balza il crin susurra! Siccome fonte a fuggitivo cervo, Che nella gelid' onda il palpitante Fianco bramoso attuffa, e il margin rade, All' alma pur vostra frescura è grata.

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