E de' color fa pompa, e l' ali spiega, Ed ogni penna per desir gli trema.
Accolti son d' amore i pegni. Al bosco Volan gli amanti, ove il piacer li guida, Il facil vitto, e securtà romita; Nulla Natura in van mai non inspira. Il nido a fabbricar, altri nel folto
Si ritrae della macchia o fra gli allori; La debil prole altri allo spino affida. Di cavo tronco nell' oscuro grembo Nel musco altri ha ricetto, esca di vermi. Chi fra l'erbette della fresca valle L'umil casa compon, chi del deserto Entro i rari cespugli. Ma del grato Rezzo della foresta i più son vaghi, E degli ermi soggiorni, e delle rive Di picciol rio, che ne' canori petti Rattempri col garrir d'amor la pena. Fra le radici del nocciuol, che i brevi Rami su l'acque gémebonde piega, Altri del suo lavor cerca il sostegno, E con aridi sterpi in picciol' ora Le pareti ne intesse, e con tenace Creta e mirabil arte il tutto stringe. Da mille e mille aligeri percosso S'agita l'aer. Sui paludosi piani Striscia l'industre rondinella, e il limo Ne trae leggiera, onde rafforzi il nido. Altri sul gregge trasvolando lieve,
Il bianco pel ne svelle, e al rostro il fida,
O le neglette paglie all' aja fura,
Sin ch'è tiepido e molle, e ai venti fermo L'albergo sia, che a' posteri destina.
Sovra il compiuto nido assidua posa La femmina; nè spron d' acuta fame, Nè susurrar d'aura gentil, nè riso Di primavera, dal materno incarco Può ritrarla un istante. Infra le opposte Frondi cantando continuamente,
Il fervido amator tempra sua cura, E quando pur di breve cibo in traccia Convien che s'allontani, ei le sottentra. Maturo è il pio lavor. Vita e sembianze Il germe prese dal calor nutrito . Spezzata la prigion, picciola stirpe Ancor di penne ignuda, al dì si mostra, E con subito strido il nutrimento
Chiede. Qual gaudio allor, quai dolci affetti De' genitor nel sen destansi a gara!
All' esca intento or l'un or l' altro vola,
E la più lieta ai figli reca, e tutta Lor la dispensa, e va di nova in cerca. Coppia così di generosa tempra, Bersaglio del destin, senz' altro ajuto Che del ciel la clemenza, ancor tra i boschi E in povero abituro esemplo ai grandi, Pietà de' figli dal digiuno afflitti
Sente; e di sè dimentica, lor dona
Quel poco ancor cui suo bisogno implora. Nè sol dell' opra Amor, di primavera
Padre, invoglia; ma il timido avvalora, E il semplice fa scaltro. Ove dal nido Aggirarsi del bosco infra i recessi Insidioso piè vegga od ascolti,
Esce ratto l'augel. Tra fronda e fronda Tacito esplora; indi agitando i vanni Manda uno strido, e il predator delude. Dell' errante pastor così sul capo Fa il candido pivier suonar le penne, E radendo il terren, lunge il richiama Dall' asil de' suoi nati. Infra palustri Giunchi, fuor d'ogni via, l' anitra, e altrove Oltre al natio scopeto il fagian corre, E i figliuoletti con pia fraude imita, Onde il levriere allontanar dal nido.
De' tuoi compagni, abitator de' boschi, Piangi, o Musa, il destin, dall' uom tiranno Tolti dell' aere ai regni, e in carcer chiusi. Più nell' aspetto di que' vaghi schiavi Non si mostra che duol: più di lor piume Non brillano i color. Muti alle note
Son fatti, oimè, cui libere e soavi Già dal faggio sciogliean.- O voi d' agreste Canto amici e d'amor, se bel concento, Ed innocenza, di pietà favilla Risvegliarvi può in seno, alla canora Famiglia i lacci risparmiate, e cessi L' atroce stil, che l' armonie ne spegne. Di Filomela, che il furato nido
In van richiegga, non si ascolti il pianto!
Troppo a sua fragil tempra è duro albergo Prigione angusta! - Dell' usato cibo Apportatrice, l' affannosa madre
Al nido fa ritorno, e freddo il trova; Chè man villana il vedovò de' figli. Trafitta da tal vista, in su l'arena Abbandona l' inutile alimento,
E con infermo vol del vicin pioppo All'ombra si ritrae. L'intera notte, Del dolore in balìa, senza conforto, Di suo danno si lagna, e al rinascente Giorno il pianto ripiglia, e sue querele Ripete in tronco suon l'eco de' boschi. Già di penne vestita, impaziente Di più libera vita, esce la prole, E le penne agitando, al cielo aspira. L'ultimo incarco de' parenti è questo, E più gradito. Il filial legame
Disciolto è omai, che dal bisogno nacque. Opra non v' ha dell' increato Fabbro
Soverchia o scarsa. All'
appressar di queta Sera, mentre l'auretta, sparsa l'ali D'ogni fragranza, tepor dolce spande, E'l raggio occidental si tinge in oro, Tenta il popol novello un picciol volo, E l'occhio, lunge riguardando, affina, E lo spazio misura, e segna il loco Ove d'esca e d'asil speme lo alletta. Di ramo in ramo que' pennuti alunni Saltellano da pria. Dispiegar l' ali
Vorrian, fidarsi all' aer, scorrere i campi ; Ma se molto è il desir, poca è la lena. Esemplo e guida lor dinanzi a volo
S'erge la madre al fin. Vigor novello
In lor sua voce infonde; e al primo corso, Spiccandosi dal ramo, ognun si prova.
Ne sostien l'aere il pondo; e ognor più mosso, Gl'inesperti volanti all' arte addestra
Di spazïar per l'etere securi.
Ma non lungo è il cammin. Presto le penne Il giovine drappel raccoglie e posa. Poi di nuovo s' innalza, e a poco a poco Più in viaggio si avanza, insin che appieno Dileguato il timor, le più lontane Aure libero scorre, e i venti sfida. Cessa così de' genitor la cura.
D'aerea rupe in sul ciglion, simile Alla balza di Kilda (*), che il cadente Sole all' Indo abbandona, i generosi Figli, a cui nelle luci arder già mira Il paterno valor, l'aquila porta ; E d'impero novel quivi a por sede Gli sforza, lunge dal natio macigno, Dove senza rivali erma regina
Già da secoli alberga; e allor che torna Dell' oceàn dall' isole remote,
Colla preda fra l' unghie il vol riposa.
Se ad agreste magion, d'olmi e d'eccelse
(*) La più lontana delle isole occidentali di Scozia.
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