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Tra i campi ei fu, d' invitto. braccio in guerra.
Stirpe d' eroi sen vien, popol gagliardo,
Più severo all' aspetto, altra non ebbe
Colpa, che patrio zel di freno ignaro.
Numa, face di Roma, onor del mondo

Il primo e 'l miglior fu de' suoi grand' avi;
Chè al costume diè norma. Al vasto impero,
Che la terra abbracciò, Servio con salde
Leggi aperse la via. Schiera di prodi
Consoli venerandi a lor succede;

E'l gran Giunio primier, che dal tremendo
Seggio al publico padre con sublime
Esemplo, fonte del valor latino

Il privato sommise; e 'l generoso
Camillo, egregio cor, non dall' ingrata
Mercè de' suoi fatto alla patria avverso,
Vindice sol della Romana fama;

E Fabricio, cui l'oro in van fe' invito;
E Cincinnato, che di Roma il freno
Con forte man sostenne, usa all' aratro :
E tu, Regolo altier, vittima illustre
Del Punico furor, tu pur t' inoltri.

Ai prieghi, al pianto de' tuoi cari immoto,
Sol della fe colla costanza in petto,
Del decoro minor festi natura.
Forte e d' umano cor Scipio ravviso,
Che della gloria sormontò veloce
E senza macchia la spinosa cima;
E ardente in gioventù, seppe maturo
In sen ritrarsi di Sofia tra i dolci

Dell' amistà diletti e delle Muse:

E Tullio, di che spesso il caldo, immenso
Labbro i destini del Tarpeo sospese;
E Cato ancor tra i gran perigli invitto;
E te, Bruto infelice, eroe sovrano,
Onde sospinta da virtù la destra

Dell'amico nel petto il ferro immerse .
L'onor del canto altri domanda e 'l merta:
Ma chi le stelle annoverar presume?
Chi dir l'influsso che da lor ne piove?

Sereno e dolce quasi Sol d' aprile,
Di Manto il gran pastor la fronte innalza.
Aquila d' Elicona, onor del canto,
Omero il sommo ne precorre i passi
Colla speranza in cor d' ugual corona
La Musa d'Albion vola; e l'aggiunge,
E del delubro della Fama in cima
L' ale posano insiem. L'ombre onorate
Di lor, che armati d' animoso stile,
Terror, pietà, ne' caldi petti Argivi
Dalle scene infondean, o con più blando
Metro alle grazie d' amoroso carme
Temprâr le corde, con alterno giro
Mi trapassano innante, e immoto io resto.
Nelle notti, che a te, sublime schiera
De' primi fra i mortali, umìl dall' ermo
Ricetto mio consacro, il cor m'inspira :
Fa che a pensieri a' tuoi pensier simìli
Con impavido ardir surga l'ingegno ; ·
E tu, Silenzio, solitaria Possa,

Le soglie guarda, e l'ospite allontana
A' miei studj molesto. Aperto il varco
Sol rimanga a drappel d' eletti amici,
Cui profonda scienza e puro senso
Accompagna, e senz' arte ameno spirto,
E d'affetti dolcezza, e intatta fede.
A rallegrar la taciturna stanza,

Del canto auspice Pope, i gioghi forse
Placido in vista scenderà di Pindo;
Pope, onde il Greco Vate Anglo divenne,
E più ne parve armonioso il verso.

Ove se' tu delle Pierie Suore

Vanto e delizia Hammònd? Perchè sì ratto
Involarti da noi? Della tranquilla

Matura etade in te sotto ancor biondo
Crin le virtuti eran riposte e 'l senno.

A che la sete d'alto nome or giova,
Che il sen t' ardea ne' florid' anni, e i vasti
Di scienza tesori, e 'l patrio foco,
Onde prode sorgevi allor fra i prodi?
Ove la cara del sermon lusinga
Sparve, e la vampa dell' indocil estro?
Ove del cor la graziosa tempra,
E dello spirto il brio, che le severe
Norme addolcía de' tuoi sereni giorni ?
Oimè! a segnar d'ambizïon la meta
E de' vani desiri, ond' altri apprenda
Che umana vita altro non è che un sogno,
Mostro ne fu tuo passeggiero lume!

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Da schiera cinto di giocondi amici,

Dolce sarammi in solitario ostello L'ore ingannar del nebuloso Inverno. Ad alto quivi od a gentil subbietto, Come più fausta spirerà la Musa, Rivolgerò l'idea. Se dal Caosse, O dall' immenso Vôto le infinite Di Natura fur tratte opre ammirande, O dall' aura d' Iddio da' tempi eterni Negli spazj create, colla scorta Cercherò di Sofia: le vie, le norme, Il giro, il fin della stupenda mole Dell' Universo fien mio studio: il guardo Allo stellato ciel talor converso, L'alta armonia ne scorgerà, che tante Maraviglie compon. Pel moral mondo, Che in l'apparenza del disordin scopre Del divino saper l' ordin sublime, Vagar quindi potrò. Ne' più vetusti Anni sovente la severa Musa Dell' istorie custode, a me fia guida. Come principio ebber gl' imperi e fine, E '1 germe cresca dell' umana possa, Vedrò quivi, e d'industria e di cultrice Mano i prodigi, che d' ingrati campi O di non fausto cielo i danni ammenda, Mentre in ferace region per fame Altri vien manco. Del sereno raggio, Che dell' eroe, del cittadino al guardo Brilla, e di gloria gli rischiara il calle, S'invaghirà mio cor. Ma se fortuna

A magnanimi sensi avversa spiri,
Non di fama voglioso, alle modeste
Virtuti, di tranquilla agreste vita
Alle delizie volgerò la mente.
Dolce il saper mi fia come ne' boschi
E nelle valli, d' ogni ben feconde,
Liete scorrano l' ore; o nel futuro
Dalla speme sospinto, con bramoso
Acuto sguardo, dell' umano spirto
Seguir godrò per l' Universo i voli:
E poi che lassa dagli eterei campi
Scenderà Fantasia, di bei sermoni
Di letizia cospersi avrà ristoro;

Chè quando col soverchio il cor non grava,
Schifo non è dell' allegrezza il senno.

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Fuman frequenti del villaggio i fochi:
Assisa quivi la famiglia in giro
Degli spettri alle istorie taciturna
L'orecchio avido porge, e sì le crede,
Che impallidita per timor si scote.
Alla danza talor le piante addestra ;
E romoroso il giubilo, e lo scherzo
E'l salto, e 'l batter delle palme, e 'l riso
E'l bacio, che il pastor all' adorata
Donzella fura, che dormir s' infinge,
Più amena fanno la villesca scena.

Calcata è la città da popol folto,
E di confuso mormorio del foro
Ogni parte risona. Ad impudica
Gioja, veleno della vita, al gioco

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