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L' INVERNO

L'INVERNO.

Vedi che il Verno giunge, e 'l vario chiude

Giro dell' anno. E nubi e nembi ed atri
Vapor, sua trista compagnia, rimena.
O voi, che agli alti ergete arcani sensi
E alle superne vision la mente,
Materia siate a' versi miei. Salvete,
O propizie tenebre, orror giocondi,
Ove in negletta, solitaria stanza,
D'ardor pieno e di giubilo, Natura
Cantai degli anni in sul fiorir. Sovente
Vostre deserte inospitali terre

Con diletto calcai: la pura neve

Stampar godea de' miei vestigi, ed era

Non men puro il mio cor. De' venti al rombo

Porgea l'orecchio e dell' alpin torrente:

Infra i vapor di vespertino cielo
Spesso formarsi la tempesta io vidi,

Nè mai calma perdei. Sinchè dal chiaro
Stallo del mezzodì con roseo volto
Primavera apparia, che tutto avviva,
Così contento conducea la vita.

O tu, che della Musa i primi voli

Reggesti, Wilmingtòn, di tuo sostegno
A lei deh sii cortese, or che all'estremo
L'ali dispiega. Del fiorito maggio
Gl'incanti ella dipinse: dell' estivo
Sol contro a' rai, dell' aquila sul tergo
Impavida si stese, e dell' Autunno

Cantò la pompa, la fresc' aura e l'ombra:
Da doppio turbo avvolta, or sovra i nembi
Poggiar tenta del Verno. Al fiero metro
Del furibondo Noto, e de' ruggenti
Fiumi già il canto accorda; e grande, e privo
D' ordin corse lo stil come il subbietto.
Oh me appien fortunato, ove agli audaci
Pensier' tuo spirto, al ver nutrito, arrida!
Tu per vasti disegni, onde la possa
S'innalza d' Albïon, sublime splendi
Come per alma intemerata, schietta,
Di patria fiamma, e non indarno, accesa.
Libero spirto, indomita costanza

È al senno in te congiunta; in te con rara
Concordia una virtute all' altra è face:
In te, pubblica speme, il guardo è vôlto,
E in tacito sermon la Musa invita
Quello a esaltar, cui lusinghiera laude
Appellar non potria l' Invidia istessa.

Del ciel l'impero al Capricorno cede
Il minaccioso Arcier: l' Aquario oscura
Già dell'anno il natal. In su la meta
Declinato dell' orbe, infermo il volto
Appar del Sole, che l'obbliqua luce

Per greve, nubiloso aere tramanda.
Languido e smorto il mezzogiorno ei rade,
E fugace in suo corso, alla profonda
E lunga notte, che severa il preme,
La terra lascia. Delle pallid' ore
Quando luce e calor, contento e vita
Si dileguan col dì, men le tenebre
Gravi scendono all' alma. Umida e negra
Zona le nubi avvolge, e di vapori
Smisurato ocean la terra copre.
Di ponderosa oscurità sull' ale

Si avanza il Verno: con maligni influssi
Natura attrista, e de' malor gl' infetti
Germi feconda. L'uman cor vien manco;
È molesta la vita, e più ancor mesti
Che la melanconia ne sono i sensi.
Giace oppresso l'armento, e senza guida
Sul suol pur dianzi dall' aratro aperto
Va di poche radici errando in traccia
L'afflitta greggia. In sul confin de' boschi
E degli stagni l' ululante spirto
De' turbini si aggira. Infra i dirupi
Scorre fremente il rivo: alle presaghe.
Della bufera solitarie grotte

Rauco risponde, e tal fragor rimanda,
Che gemebondo nel pensier risona.

Di mestizia così cinto e di brine
Delle procelle il genitor si mostra.
In fredda piova, che sull' ardue cime
Pria si versa de' monti, il vapor grave

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