La mensa ondeggia; e al piè dell' ebbro infida,
Già la terra vacilla. Romoroso
Da venti lingue a un tempo esce l' errante Sermon confuso, e di corsier, di veltri Si favella, o di spettri o delle vane Ragion del vulgo, e del poter de' regi: Quando repente in risonante metro Dell' allegrezza la canzon s'intuona, Che sino al cor penetra, e la concorde Ingenua laude le risponde e 'l riso. Dalle grida così desto il levriero, Sorge, l'orecchio tende, e dell' accesa Gara il clamor cogli ululati accresce. Quasi notturna procellosa piova, Che cessata la furia, a poco a poco In più sommesso mormorio si perde, Di que' prodi così langue la voglia. Inerte il labbro, più a vibrar non atto La sonante parola, ai sorsi estremi Appena si disserra. Al par di Sole, Che per mezzo alla nube i rai tramandi, Duplici e saltellanti agli ebbri lumi Appajono le faci, e tutta intorno Move la stanza in giro. Il piè vacilla, E con tarda caduta i ponderosi Corpi il terreno ingombrano. Dispersi Fogli, fiale e rovesciati nappi
Giaccion sul desco, ed al suo piè la stesa
Sibilante caterva. In mezzo siede
Colla distorta gamba il pigro sonno,
E sopor grave negli spirti infonde, Che all' alba cessa. Per gran ventre altero, D'immenso cibo e colme tazze abisso, Campion del clero invitto in piè sol resta; E vôlto il guardo al sonnacchioso gregge, In bassi accenti di sua prava etade La debil tempra nel partir deplora.
Di fieri ludi dal furor sospinto È il Britanno così, nato alla guerra: Ma lunge, ah lunge dall' amabil sesso Costume ugual! Dal varcar siepi a slanci E governar d' igneo corsiero il morso Laude non vien che la beltate onori. La dolcezza natia muliebre aspetto Perde in viril comparsa. È vanto primo In donna la pietà, che altrui soccorra, E' soave rossor, che d'infiammata Rosa repente ne colora il volto;
E mentre col timor par che a suo schermo Dell' uomo il braccio invochi, il cor ne impiaga. Possan le belle, d' Albion decoro,
Non altra mirar mai dolente scena
Che degli amanti la mestizia e 'l pianto!
Per le magiche vie dell' amoroso Regno, o garzon, venatic' arte appresta, E più nobil trionfo il gentil sesso . Fugge la vergin pria, ma non si adira Che nella dubbia fuga altri la siegua. Semplice gonna i dilicati membri
Ne adorni; e, alunna d'armonia, canori
Accenti al cor ne invii: dolce il liuto Risoni al tocco dell' eburnee dita, E in ogni passo e in ogni moto espressa La grazia sia, dote sua prima : industri Foglie su niveo lin coll' ago intrecci, E il pennel guidi, che ai color dà vita. Nulla nell' arte d' Anfïon si mostri, Di che ignara ella sia: la più leggiadra Schiera de' fior con dotta mano educhi, E le fragranze del fuggevol anno E di Natura le delizie accresca. D'amor, di grazie ai posteri feconda Origin 'sia schietto, gentil costume Vanti ogni età per lei: per lei sollievo L'abitator de' campi abbia dall' opra, E sol modestia ed innocenza regni, E dolce appaja di virtù l'aspetto, E sien gli affanni di quaggiù men duri! Delle Belle il poter, la gloria è questa.
Là sotto quel nocciuol, presso alla valle, Dove sul masso il torto rio si frange, Vanne, o pastor; ed in succinta veste Le spesse fratte e gl' intrecciati arbusti A trapassar ti affretta, agreste ninfa . Degli ultimi concenti è a voi cortese Delle selve il cantor. Tramezzo ai folti Rami per te già d'avellane iu cerca Stende il braccio l'amato: il tronco scote; E, maturo, in cader, l'interno frutto Della scorza si spoglia, e strepitante
Grandin simile, che in procella estiva Sovra il terren rimbalzi; e color mostra Al biondo crine di Melinda uguale, Vaga regina, dalle grazie adorna,
Che in suo schietto costume ella disgrada; Più saggia ancor che bella; e tal, che dotta Lingua non v' ha, che ne pareggi 'l merto. Di Fantasia sull' ali or tra gli opimi D'Autunno labirinti si trascorra,
E de' pometi alla fragranza, al rezzo Si ristorino i sensi. Al vento e al Sole, Che l'opra sua compiè, docile il pingue Frutto si stacca e cade. In ogni parte Varia gialleggia la melliflua pera. Dall' elemento primo i suoi profumi L'alma Natura trae, che tutto affina, E di temprato Sol, di terra e d'acqua In mille guise e d' etere li mesce. I tesori odoriferi son questi Dalla fresca diffusi aura notturna Per lo verzier, cui di purpuree poma, Del palato delizia e dello sguardo, La mano abbella del prolific' anno. Dall' acerbetto succo, onde più il gusto Lusinga il sidro a te, Phillips, fu l'estro Acceso, che dell' anglica Pomona
Fidò le glorie al canto; a te, che franco, Della tiranna rima con secondo
Esemplo il giogo all' Anglo vate hai tolto. Primo tu fosti, onde il Britanno apprese
Come ne' dogli di Siluria spumi Il possente licor, che nella fredda Stagion gli spirti intorpiditi avviva, E il sen rinfresca mentre l'aere avvampa. Su gli ameni sentier di tua campestre Stanza nell' ore che più mite splende Il Sol, concedi ch' io rivolga il passo, Egregio Dodingtono. I verdi piani In dilettosa interminabil vista
Si stendon quivi, e boschi e messi e paschi Di mandre sparsi, e di Dorsèt le arene. Di tua magion dalla solenne fronte Rapito è il guardo mio. Nuove colonne Ogni giorno vi scopre, e nuove piante E nuove grotte ogni stagion fiorita: Tutto l'impronta di tuo spirto mostra. Sede han quivi le Muse. A te sul capo Ed al querulo Young nella frondosa Propinqua selva degli allôr fann' arco; E dalla brama di tua laude acceso Sovente io pur tra que' sentier m' aggiro, E di Natura nell' aperto libro Medito i carmi, e ad intentato volo Sovra le penne della mente aspiro. Quel che l' Autunno di più vago dona Del tuo giardin dalle ridenti mura Pender vegg' io. Del vellutato manto L'odorifera pesca ivi fa mostra,
E di sua manna tra le foglie il fico, E di sanguigni grappoli la vite.
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