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Fresca, giuliva è la campagna: il bosco
Più folto appar: dolce armonia si desta
Che de' petrosi rivi al suon si accorda;
E al muggir degli armenti al colle in vetta,
Risponde l'eco dell' opposta valle;

Mentre le vespertine aure disciolte
Forman di mille voci un sol concento.
Da lieve nube oriental rifratto

A un tempo il rugiadoso arco di pace
Vaga pompa spiegando, il suol circonda.
De' color primi in sua beltà contesto,
Dall' infiammato porporin trapassa
Al violato, che col ciel si mesce.
Da nuvoletta incontro al Sol disciolta
Le prismatiche liste, o gran Neutono,
Qui formate discerni, e della luce,
Magistero ammirando, ad occhio esperto
Svilupparsi le fila, che dal bianco

Dove, intrecciate son, tu sol partisti.
Non già il cultor così. Con dolce incanto
L'alma zona contempla, e al cor fa inganno.

Il cerchio ad abbracciar, che sui ridenti
Campi si piega, disïoso ei corre :

Ma fuggirgli dinanzi, e lieve lieve
Nella nebbia svanir l'arco rimira;
E deluso si arresta. Ombre benigne
La notte guida; e ad offerir con mille
Germi odorosi, nel silenzio nati,
Compenso de' suoi doni al giorno estinto,
Pago il terren la nova luce attende.

Cresce così la vivid' erba, e folta

Veste al prato compon. Tutte il più esperto
Conoscitor della natura indarno

Le varie spezie annoverarne estima,
O taciturno indagator per erme
Valli si aggiri, o per foreste il calle
Dalle salvatich' erbe a sè davante
Sgombri, o su balze dirupate ascenda,
Allettato dal verde, che da lunge
L'ubertà mostra dell' äerie cime:
Però che largamente in ogni loco
Ai venti ed all' erranti acque i suoi germi
Fidò Natura; e dal terreno accolti,
Di prolifica pioggia indi gl' irriga.

Ma chi spiegarne le virtù presume?
Chi delle ignote lor cagion, di vita
Ministre e di piacer, con certo sguardo
Gli arcani penetrar? Dolce alimento
Porgevan l'erbe all' uom, quando aurei giorni
E lungamente ad innocenza in grembo,
Di sè pago, vivea, Non anco al sangue
Spinto, dell' arti della vita ignaro,
Delle rapine, de' soverchi pasti,
D'ogni seguace infermità, di morte,
Non già tiranno, era signor del mondo.

Dell' uomo allor gli avventurosi figli
Dell' alba in compagnia sorgean dal sonno;
Ed all'aperto dardeggiar del sacro
Lume del dì su le lor membra ignude,
Non già vergogna ne tingea le gote.

Come il Sol vigorosi, altri alla cura
Movea del caro gregge, altri al lavoro.
Quindi le danze e i canti, e i genïali
Sollazzi, e l'alternar di bei sermoni,
Spesso di mite sapienza aspersi
Fanciulleschi sospir fra le vermiglie
Rose, ornamento dell' aprica valle,
Scioglieva intanto Amor, scevro da pene,
O da quelle sol tocco, ond' è più vivo.
Non opra disleal, non atto altero
Que' beati affliggea figli del cielo;
Chè ragion sola e affetto avean per guida.
Puro sempre dell' etra era l'azzurro ;
Eun' aura dolce senza mutamento (*)
Carezzava la terra. Il luminoso
Astro del dì, giovane ancor, benigni,
Benchè in tutta sua forza, i rai spandea,
Sin che la nube della sera, i freschi
Umor piovendo, rallegrava i campi.
Confuse insiem le numerose mandre
Scorreano allor senza sospetto i paschi:
E se leon, dagl' ignei sguardi, a caso
Uscìa del bosco, di sua fera tempra
Immemor fatto, alla gioconda vista
Umano senso discoprir parea;

Chè tutto era armonia, tutto era pace.
Soavemente sospirando il bosso,

Vario affetto pingea, cui delle selve

(*) Dante.

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Il coro unito rispondeva, e l'aura

Tra le frondi gemente e 'l rio fugace.

Le prime ore così volgean del mondo. Ma, oimè, que' tempi da ogni biasmo integri, Onde l' età dell' ôr trassero i vati, In tempi rei si trasmutâr di ferro! Il nettare di vita allor si bevve; Or la feccia si bee. Delle concordi Forze più l'armonia, del ben sorgente, Gli spirti non rinfranca: oltre la meta Precipitan gli affetti; e inferma e guasta A dubbio lume anche Ragion gli approva. Freme la Rabbia; e taciturna e smorta Le ascose vie della vendetta esplora. Del gaudio altrui basso Livor nimico Duolsi, e detesta il ben, che in sè non trova. Di mille orride larve il Timor vano

Artefice a sè stesso, ogni scintilla

Di valor maschio estingue. Aspro divenne
Ancor dell' alma il più gentile affetto;
O dal prezzo adescato, più quel dolce
Desio non sente, che in goder si avviva.
Nel soave piacer più non è posto
Di far beato quei che pria l' accese.
Vaneggia la Speranza : impazïente
Della vita, il Dolor rapido cresce;

E si cangia in Follia. Però in sè chiuso,
Sol di pianto si pasce e di sospiri.

Mille moti così tra lor confusi,

Che or lieta or mesta idea suscita e sprona,

Di perpetua battaglia il cor fan campo.
L'amor del retto involasi. La noja
Segue e l' ignavia, che di tutto è schiva,
E'l vil disgusto dell' altrui ventura.
L'odio, e d' insidie il tradimento armato
E il furor senza fren, tutti dell' alma
In bando posti i genïali affetti,

Del cor l'impero usurpano. Vendetta
Par che in tal forma trar desii Natura
Dell' empia colpa di sue leggi infrante.
E la punì già il cielo, allor che un lago
Fe' della terra. Orribilmente scossa
Dal crollo universal, l' eterea volta

Si aperse a un tratto, che dall' orbe nostro
Divise mantenea l'acque del centro.
Sgorgâr queste a torrenti; ai più elevati
Monti coprir le cime; e tutto assorto
Nel procelloso mar, fuor d' ogni riva
Dall' uno all' altro polo ergeasi 'l flutto.
Il vario allor delle stagion governo
Origin ebbe. Con pungente neve
Afflisse il verno i campi: alito infetto
L'ignea state esalò. Perpetuo riso
Primavera da pria spandea su l'anno;
E in bel concerto su l' istesso ramo
Porporeggiar col fior vedeasi 'l frutto.
Puro e mite era l'aer; la calma eterna :
Scorrea zeffiro sol gli azzurri campi.
Ancor l'impeto ignoto era de' venti
E la furia del mar. Non anco in cielo

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