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All'ardir suo compagna, oltre la sfera
Del bisogno lo addusse, e di Natura
Le dovizie gli schiuse, e ciò che il corso
Fa della vita glorioso e lieto .

Allor di bel desio la mente accesa,
Spiegò l'agili penne, e del decoro
La lusinga conobbe, e a peregrine
Scienze intesa, sovra quanto in terra
E in onda e in aere appar sentì l'impero.
Il nodo social dalle congiunte

Umane posse indi n' emerse; e

l' opre

Fur di ciascuno al comun ben rivolte.

Quel che alla patria noccia o il dritto offenda,
Nel concilio primier così ne apparve.

Origin quivi ebber le leggi e forma,
Impulso l'arti, e stabil norma i gradi:
E mentre incontro all' oppressor fu schermo
Di tutti il petto, con bilancia e spada
Posta in soglio fu Temi. Allor di ceppi
Il meschin non temea: non anco il frutto
Posto avea del lavoro in man del crudo
Che il nutre sol perchè l' aver ne accresca.
Dal guadagno sospinta e dalla gara,
Comun desio fu l' opra, onde felice

E pien di vanti e di vigor l' uom surse.
Prime dell' arti le città nudrici,

Spinsero al ciel le torri; e a mille a mille
Dai campi e dalle selve a quella vista
Del cupido mortal corsero i figli.
Quivi l' industre ingegno a più lontana

Meta si stese, e di domestic' opra

Al passeggier fe' mostra; e di straniere
Dovizie e d' ubertà le vie fur centro.
Al Britanno così primo, o Tamigi,
Fonte di gloria fosti. Eguali a selve
Dal verno dispogliate, ondeggian folte
Le antenne alle tue rive: agili vele
Ne ammantano le cime; il legno è sciolto:
E mentre a lui d'intorno a foggia d' ale
Picciola barca i remi spiega, e 'l grido
Echeggia di chi parte, ai più remoti
Lidi, signor dell' onde, il fulmin reca.
Frutto dell' opra, la superba fronte
Quindi alzâr le colonne : a piene palme
Versò tesori il lusso: in sulle tele
Atti, forme e 'l pensier ne' lumi espresso
Emuli al vero apparvero; e dell' arte
Sotto la man, di fantasia trionfo,
Vita e senso acquistar parvero i sassi.

Di pompa madre, di bellezza e d'agi,
Tutto Industria comparte. Ella del Verno
L'aspetto rasserena. Al foco assiso,
Per lei del turbo, che le freme intorno,
Sprezza l'ira il mortal. Di Primavera
Ella è vita ed onor. Da lei deserta,
Infeconda stagion saria l'Estate,
Di frutti nudo e di beltà l'Autunno.

L'argenteo velo in sulle valli appena Fa l'alba tremolar, sorge, ed all' opra Lo stuol s'invia de' mietitor. Sollievo

Alla fatica, ognun l'amata ha seco:

E giunti ove più il solco ha fulvo il manto,
Tutti a un tempo s' incurvano. Leggera
La falce ruota; e, ad ingannar l' estive
Ore, i pungenti motti, e le campestri
Baje volano attorno, e i detti arguti.

Col Sol, che il pian tutto già indora, estremo
Il Signor sopravvien. Pago lo sguardo
Ovunque gira; e testimon de' pingui
Sperati frutti del lavoro, esulta.
Le disperse a raccôr neglette spiche
Il poverel succede, e al fine il rastro,
Che della messe ogni altro avanzo aduna.
O tu, cultor, con troppa cura ai passi
Non riguardar di chi tua traccia siegue:
Dell' onesto bisogno è questo il furto.
Grato così della ricolta al nume
Ti mostra, che per te fiorir fa i campi,
Mentre il mendico, dai disagi afflitto,
Α1 par dell' augellin, che il ciel nutrica,
Delle reliquie de' suoi don si appaga .
Pensa, che di fortuna il vario giro
Condur potria tua stessa prole un giorno
A chieder quel, che mal volendo or lasci..
Non povera d' amici, allor che l'astro
Splendea dell' ubertà sul patrio tetto,
Era Lavinia, di beltà modello.
Ma la sorte cangiò. Sin dalla prima
Etate ogni sostegno a lei fu tolto:
Solo innocenza le rimase e 'l cielo.

Colla vedova madre annosa e stanca
In erma valle i dì traea. Dall'ombra,
E più dalla vergogna ivi nascose,
Il disprezzo fuggian, onde la stolta
Baldanza umana alla virtù fa scorno
Ne' panni umìli del disastro avvolta .
Cibi non compri lor porgea Natura;
E incuriose del vegnente giorno,
Contente si vivean come il canoro
Augel, che a sera le allettava al sonno.
Leggiadra al par di rosa, allor che l'alba
Delle roride stille il sen ne imperla,
Quasi ligustro o alpina neve intatta,
Era Lavinia. Nelle oneste luci,

Donde appena su, i fior scendea lo sguardo,
Sculta d' ogni virtute era l' imago.
Talor, quando la madre i duri oltraggi
Le ridicea dell' infedel fortuna,
Palpitante ascoltava, e un vel di pianto
Su i lumi le apparia. Di grazia sparso
Era ogni moto in lei. Succinta veste,
Senz'altro arredo, ne copria le membra;
Chè d'estranio splendor mestier non hanno
Di natura le doti. Appar men vaga
Troppo adorna beltà. Fior di donzelle,
Sembiante a mirto, che in solinga parte
Nato dell' Apennin, di sua fragranza
Il deserto consoli, a tutti ignota
Fioria così Lavinia in mezzo ai boschi;
Finchè sospinta dal bisogno, e armata

Di pazienza il cor, serena come
La stella del mattin, le ancor rimase
Spiche a cercar di Palemon sui campi
Recossi un giorno. Di benefic' alma,
D'agi fornito e di soavi modi,
Palemon de' pastori era l'orgoglio;
E tra onesti diletti e placid' opra
La gentil conducea campestre vita,
Cui l' Arcade cantor dai più remoti
Anni ritrasse, quando ancor dell' uso
Schiavo il mortal non era, e di Natura
Con pacifico stil seguia le norme.
Dell' autunnal fruttifera sembianza
Si compiaceva Palemon. Non lunge
Movea da' mietitori appunto il passo,
Quando Lavinia a sè ne trasse il guardo.
Della possanza di suo dolce aspetto
Inesperta colei, ratta si volse,
Ascondendo il rossor, che quasi vampa
Alle gote le ascese. Avea sol parte
Di sua vaghezza Palemon scoverta;
Pur si tocco ne fu, che in van la forza
Del desir combattea, che in cor gli nacque .
Tu dunque, sì gentil (sempre in lei fiso,
Tra sè dicea), cui da' loquaci lumi.
Sì bell' alma traspar, sarai le brame
Di cor villesco ad appagar serbata?
Oh! perchè non se' tu dall' infelice
Stirpe scesa d' Acasto, onde la sorte
Origin ebbe, che or mi fa beato.

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