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L' AUTUNNO

L'AUTUNNO.

Or che di falce armato, e fra gli acervi Delle recise spiche, onor de' campi, Sorgente di piacer giunge l' Autunno, Lieto all' amica lira e al canto io torno. Quel che a dicembre imprigionâr le brume, E april disciolse, e maturò l'agosto, In sua pompa si svela, e l'estro infiamma.

Di fregiar vaga del tuo nome i carmi, Te invoca, Onslow, la Musa, e un raggio invoca Di tua gloria immortal. Le gravi cure,

Di patrio zelo generose figlie,

Onde in fronte hai l'imago e 'l foco in petto,
Non negar che per poco ella sospenda.
Ben sa quanto di lei più vigoroso
Testor ti mostri di sublimi accenti,
Mentre il Senato di tuo spirto accendi.
Ma le virtudi, onde al natio paese
Onor deriva, ancor la Musa ammira;
E salda è nel voler, se infermo ha il verso
Da patrio spron riscossa, ella più franca
Dispiega il vol. Del cittadin l'affetto
All' impeto del vate allor si aggiunge.

Quando al novo signor cede i bei giorni
Della Vergine il segno, e in equa lance
Son le stagion librate, dell' estivo
Fulgor l'aere si spoglia, e un più sereno
Azzurro, sparso di dorata luce,

Al suol sovrasta. Con soave raggio
Tra lieve nube il Sol versa la calma.
Ricca, matura, le ricurve cime
Sostien la messe; e, ad agitar del solco
La biondeggiante veste, aura non vola.
Dell' ubertà questo è il silenzio. Il bianco
Etereo vel pur talor frange il vento.
Chiaro del di l' apportator si mostra;
E ad or ad or dietro alla nube ascoso,
Di fosca ombra fugace i campi ammanta.
Sovra le opime biade erra lo sguardo;
E qual su fluttuante ampia marina,
Quanto trar d' ala può, lunge si stende.

Son questi, o Industria, i doni tuoi. Te sempre

La fatica accompagna, e più gentili

Costumi insegni, e l' arti belle avvivi.
Ignudo, senz' aita, infra i deserti

E le foreste alla balìa de' venti,

Del Sol, del gel, spinse il mortal Natura;
E tratto per tua man fu a dolce vita.
In van dell' arte nella mente i germi
Sparsi avea dalla cuna; in van d'eletta
Materia onusta era ogni riva. Un denso
Vel ricopria dell' uom lo spirto. I frutti,
Non da man di cultor fatti gentili,

Divo rava dell'anno, e per vil cibo
Spesso a tenzon venìa sin colle belve.
Entro informe tugurio, allor che i ghiacci
E le tempeste sulle fosche penne
Il verno conducea, debil, tremante
Riparava la salma. Ai cari alberghi,
Ove or la copia colla pace ha sede,
E di pietate la scintilla prima

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In cor gli nacque, e i dolci affetti apprese
Di cittadin, di padre, estranio egli era.
Ferrea vita così, chiuso al contento,
Onde la vista de' simili è madre,

Visse il mortal, sinchè d' Industria al grido
L' ignavia scossa, del nativo ingegno
I tesori scoverse. Apparver l' arti,
E l'ubertà con lor. Da quelle scôrto,
Oltre l'usata via sue forze accrebbe,
E della terra in sen si aperse il varco,
E i metalli ne trasse, e a lento foco
La tempra ne ammollì. Fur dalla scure.
Atterrate le selve, ed a più salde
Mura prescelta la montana pietra .
Delle sanguinolente ispide pelli
Industria lo spogliò. Di ben contesto
Lino adornò sue forme, e di esquisiti
Salubri cibi ne arricchì la mensa;
Nè d'elette bevande all' uom fu avara.
Con soave licor negli egri spirti
Conforto e lena infuse, e l' allegrezza
Svegliò, compenso de' terrestri affanni.

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